Legame tra violenza nei media e aggressività nei bambini: l'opinione degli esperti
Abbiamo posto a diversi professionisti della salute mentale la stessa domanda: "Che legame c'è tra la violenza nei media e l'aggressività nei bambini?" In questo articolo vediamo le loro risposte.
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Legame tra violenza nei media e aggressività nei bambini: cosa dicono gli esperti?
Il legame tra violenza nei media e aggressività nei bambini è un tema dibattuto, che coinvolge vari aspetti psicologici e sociali.
La domanda principale riguarda se l'esposizione a contenuti violenti nei media possa influenzare il comportamento dei più giovani. Vediamo quindi le opinioni di alcuni professionisti in psicologia.
Che legame c'è tra violenza nei media e aggressività nei bambini? Le risposte degli esperti
Il parere della dott.ssa Silvia Parisi.
Numerosi studi hanno indagato sul legame tra l'esposizione alla
violenza nei media e l'aumento dell'aggressività nei bambini. I
risultati suggeriscono che la visione ripetuta di contenuti violenti
può desensibilizzare i più piccoli, riducendo la loro capacità di
empatia e aumentando la probabilità di comportamenti aggressivi.
Tuttavia, il ruolo dei media non è l'unico fattore in gioco: anche
l'educazione familiare, il contesto sociale e le caratteristiche
individuali del bambino influenzano la sua reazione a questi
stimoli. È fondamentale che i genitori e gli educatori promuovano
un uso consapevole dei media, incoraggiando il dialogo e offrendo
modelli di comportamento positivi. Un ambiente equilibrato e
affettivo può ridurre l'impatto negativo di contenuti violenti.
Dottoressa Silvia Parisi, Psicologa, Psicoterapeuta
Sessuologa
violenza nei media e l'aumento dell'aggressività nei bambini. I
risultati suggeriscono che la visione ripetuta di contenuti violenti
può desensibilizzare i più piccoli, riducendo la loro capacità di
empatia e aumentando la probabilità di comportamenti aggressivi.
Tuttavia, il ruolo dei media non è l'unico fattore in gioco: anche
l'educazione familiare, il contesto sociale e le caratteristiche
individuali del bambino influenzano la sua reazione a questi
stimoli. È fondamentale che i genitori e gli educatori promuovano
un uso consapevole dei media, incoraggiando il dialogo e offrendo
modelli di comportamento positivi. Un ambiente equilibrato e
affettivo può ridurre l'impatto negativo di contenuti violenti.
Dottoressa Silvia Parisi, Psicologa, Psicoterapeuta
Sessuologa
Il parere del dott. Enrico Gamba
La questione del legame tra violenza nei media e aggressività infantile è complessa e merita un'analisi attenta. Non possiamo affermare che l'esposizione a contenuti violenti causi direttamente comportamenti aggressivi in tutti i bambini. Tuttavia, è innegabile che rappresenti un fattore di rischio significativo. La violenza mediatica, infatti, può operare su diversi livelli. Innanzitutto, può desensibilizzare i bambini, riducendo la loro capacità di empatia e aumentando la loro tolleranza verso la violenza. In secondo luogo, può normalizzare comportamenti aggressivi, presentandoli come soluzioni accettabili ai conflitti. Infine, l'esposizione ripetuta a scene violente può influenzare il repertorio comportamentale dei bambini, fornendo modelli negativi di interazione. L’impatto della violenza nei media varia a seconda delle caratteristiche individuali del bambino e del contesto familiare. Bambini con difficoltà emotive, impulsività o scarsa supervisione genitoriale possono essere più vulnerabili agli effetti negativi. La risposta non è la censura indiscriminata, ma un approccio educativo. È fondamentale promuovere un uso consapevole dei media, incoraggiando il dialogo tra genitori e figli sui contenuti visualizzati. Aiutare i bambini a distinguere tra finzione e realtà, a sviluppare un pensiero critico e a interiorizzare valori come il rispetto e l'empatia, è essenziale per mitigare i rischi associati all'esposizione alla violenza mediatica.
Dott. Enrico Gamba, Psicoterapeuta
Dott. Enrico Gamba, Psicoterapeuta
Il parere del dott. Amleto Petrarca Paladini
L'esposizione ripetuta alla violenza nei media può influenzare il comportamento dei bambini, rendendoli più inclini ad atteggiamenti aggressivi o meno sensibili alla sofferenza altrui. Tuttavia, il modo in cui questi contenuti impattano varia da bambino a bambino e dipende da diversi fattori, come l'educazione ricevuta, l'ambiente familiare e la capacità di distinguere tra realtà e finzione. È importante che i genitori e gli educatori guidino i bambini nella comprensione di ciò che vedono, aiutandoli a sviluppare senso critico e capacità di gestione delle emozioni.
Dott. Amleto Petrarca Paladini - psicoterapeuta ISTDP. sito web
Dott. Amleto Petrarca Paladini - psicoterapeuta ISTDP. sito web
Il parere della dott.ssa Gabriella Soriano
Il legame tra la violenza nei media e l’aggressività nei bambini è un tema dibattuto da decenni, con posizioni che spaziano dal considerarlo un fattore determinante a vederlo come una semplice influenza tra molte. Numerosi studi hanno evidenziato una correlazione tra esposizione a contenuti violenti (nei videogiochi, film, serie TV e social media) e un aumento di comportamenti aggressivi nei bambini. Ad esempio, la teoria dell’apprendimento sociale di Bandura suggerisce che i bambini tendano a imitare i comportamenti osservati, specialmente se i protagonisti della violenza vengono premiati o non subiscono conseguenze. Tuttavia, la correlazione non implica causalità. Molti altri fattori, come ambiente familiare, personalità, contesto socioeconomico e capacità di autoregolazione emotiva, giocano un ruolo significativo. Studi longitudinali hanno dimostrato che l’esposizione alla violenza nei media da sola non è sufficiente a generare un comportamento violento duraturo. A breve termine, l’esposizione a contenuti violenti può aumentare stati di eccitazione e reazioni impulsive. Ad esempio, dopo aver giocato a un videogioco violento, un bambino potrebbe mostrare maggiore irritabilità o rispondere in modo più aggressivo a una frustrazione. A lungo termine, se la violenza è costantemente presente nei media consumati e non viene adeguatamente filtrata o discussa, può contribuire alla desensibilizzazione, riducendo l’empatia verso la sofferenza altrui. L’influenza della violenza nei media può essere mitigata da: 1. Supervisione e mediazione parentale – Discutere i contenuti con i bambini aiuta a sviluppare un pensiero critico. 2. Educazione emotiva – Insegnare ai bambini a gestire rabbia e frustrazione riduce la probabilità che adottino comportamenti aggressivi. 3. Modelli di riferimento positivi – Se i bambini hanno figure adulte di riferimento che promuovono empatia e rispetto, gli effetti negativi dei media violenti diminuiscono.
Dott.ssa Gabriella Soriano, psicologa psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico.
Dott.ssa Gabriella Soriano, psicologa psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico.
Il parere del dott. Rocco Cacciacarne
Che vi sia una relazione sequenziale tra violenza dispensata a piene mani dai media e aggressività nei bambini è ormai unanimemente acclarato. Un bambino dovrebbe crescere in famiglia in una cornice protetta, con accesso ai vari sistemi di informazione pilotato dai genitori. Questo non significa spegnere la TV o chiudergli in faccia il giornale quando passa una notizia violenta, ma nemmeno andarsele a cercare. Tanto al bambino arrivano le informazioni anche da altre fonti. Tutto deve essere legato alle reazioni dei genitori al passaggio di quella certa notizia. Conta farsi vedere preparati nel saper trovare una soluzione in tutte le situazioni, mettendo in primo piano i valori della Società e i ruoli dei suoi esponenti addetti alla tutela del cittadino stesso. Il minore avrà tutto il tempo di apprendere a scuola ciò che è bene e ciò che è male. Durante la crescita evolutiva sarà bene venga aiutato/a sul “come comportarsi di fronte alla violenza”. Sono del parere che le Arti Marziali debbano essere insegnate a Scuola obbligatoriamente; non per offendere ma per difendersi in caso di bisogno. Per arginare il fenomeno inquietante del bullismo impellente con l’effetto “gregge” collegato, l’unico modo per emanciparsi è acquisire sicurezza in sé stessi. I Maestri di Arti Marziali insegnano prima di tutto l’equilibrio interiore e poi tutto il resto.
Dott. Rocco Cacciacarne, psicoterapeuta
Dott. Rocco Cacciacarne, psicoterapeuta
Il parere della dott.ssa Laura Princivalli
La premessa che guida il mio sguardo è quella di una realtà costruita socialmente, di significati messi in dialogo tra loro e, così, credo che la violenza e l’aggressività siano dinamiche che si creano nello scambio sociale, nel quale i media hanno un ruolo, e con esso, una responsabilità. Non abbiamo qui il tempo di aprire un discorso ampio, che farei iniziare con una riflessione su ciò che intendiamo con ‘violenza’, ‘aggressività’ e persino per ciò che identifichiamo con ‘media’ nel 2025. Penso sia qualcosa su cui interrogarsi spalancando questa finestra, senza la fretta di trovare un modo per chiuderla.
Stiamo parlando di rappresentazione di realtà, di educazione e di creazione di immaginari. Soprattutto, del contributo generale e personale nella costruzione di un modo nuovo di interagire
con lə altrə. Ciò significa tenere in considerazione le persone ‘dietro’ allo schermo dei ‘media’ oltre a quelle 'davanti’ e pensare un’educazione all’affettività, alle relazioni, che non riguardi solo lə bambinə ma anche chi quei contenuti li crea, li immagina, li narra, appunto. Implica spostare l’attenzione su come possiamo utilizzare questo legame tra media e comportamenti nei minori (non solo quelli
inerenti la sfera della violenza). Come possiamo educare alle interazioni mantenendo un’apertura al mondo senza censure, una
cura senza controllo, un’attenzione senza patine e, allo stesso tempo, con le premure dell’educazione? Esiste, alla fine, la possibilità di una narrazione della violenza altra, che costruisca invece di distruggere?
In questo groviglio di personaggi e prospettive, telegiornali e videogiochi, che lə ragazzə attingano dai contenuti mediatici oltre che dai contesti quotidiani, è generativo di possibilità, di alternative
che gli si concede di sentire proprie. È un discorso aperto a cui tuttə possiamo partecipare, facendocene carico come individui, collettività, come singolə professionistə, come società.
Dott.ssa Laura Princivalli, psicoterapeuta - psicoterapeuta-online.com
Stiamo parlando di rappresentazione di realtà, di educazione e di creazione di immaginari. Soprattutto, del contributo generale e personale nella costruzione di un modo nuovo di interagire
con lə altrə. Ciò significa tenere in considerazione le persone ‘dietro’ allo schermo dei ‘media’ oltre a quelle 'davanti’ e pensare un’educazione all’affettività, alle relazioni, che non riguardi solo lə bambinə ma anche chi quei contenuti li crea, li immagina, li narra, appunto. Implica spostare l’attenzione su come possiamo utilizzare questo legame tra media e comportamenti nei minori (non solo quelli
inerenti la sfera della violenza). Come possiamo educare alle interazioni mantenendo un’apertura al mondo senza censure, una
cura senza controllo, un’attenzione senza patine e, allo stesso tempo, con le premure dell’educazione? Esiste, alla fine, la possibilità di una narrazione della violenza altra, che costruisca invece di distruggere?
In questo groviglio di personaggi e prospettive, telegiornali e videogiochi, che lə ragazzə attingano dai contenuti mediatici oltre che dai contesti quotidiani, è generativo di possibilità, di alternative
che gli si concede di sentire proprie. È un discorso aperto a cui tuttə possiamo partecipare, facendocene carico come individui, collettività, come singolə professionistə, come società.
Dott.ssa Laura Princivalli, psicoterapeuta - psicoterapeuta-online.com
Il parere della dott.ssa Roberta Daminelli
Credo che la violenza nei media sia un riflesso di come siamo noi. Soprattutto in questo momento storico in cui ci sentiamo particolarmente spiazzati, fragili e incerti sul futuro, l’aggressività nei media è un riflesso e una risposta disfunzionale alla paura che proviamo e che spesso non riusciamo ad affrontare. È più facile attaccare, anche violentemente, gli altri ritenendoli responsabili di come vanno le cose piuttosto che affrontare le nostre paure che potrebbero al contrario avvicinarci. Tutti proviamo paura, la differenza sta nel come la affrontiamo e reagiamo ad essa. C’è chi si sente attaccato e per difendersi, contrattacca. È una risposta del cervello primitiva, legata alla sopravvivenza, ma che non porta ad una più evolutiva risoluzione di ciò che ci fa sentire minacciati. L’aggressività nei bambini invece è un riflesso di ciò che vedono negli adulti. Più che dei media dovremmo preoccuparci dell’esempio che diamo loro come adulti nella vita quotidiana. Le continue aggressioni e prevaricazioni fisiche e verbali a cui assistono e che passano come normali reazioni anziché venire fermamente condannate, sono una ben peggiore influenza di cui sempre più spesso sono testimoni. L’esempio a cui sempre più spesso i bambini assistono è la giustificazione della risposta violenta come legittima difesa dei propri “diritti” o meglio dei propri interessi. O come risposta di difesa della propria libertà, concetto tanto sbandierato, ma assai frainteso. Non può esserci libertà quando si aggredisce l’altro per difendere i propri interessi. Il messaggio che tante volte passa è che non reagire è sintomo di debolezza. E che il forte è “figo”, mentre il più delle volte è solo un prevaricatore. Invece di spiegare le proprie motivazioni, attacca. Tutto questo può portare i bambini a pensare che la violenza sia l’unica risposta possibile. L’alternativa è la paura di essere schiacciati. Sarebbe invece opportuno insegnare e offrire ai ragazzi, soprattutto con l’esempio, strumenti come il dialogo, il confronto e l’accettazione della diversità dell’altro in quanto possibile arricchimento anziché minaccia. È l’unico modo per contrastare tali esempi negativi di violenza.
Dott.ssa Roberta Daminelli psicologa psicoterapeuta, specializzata in Alta Sensibilità
Dott.ssa Roberta Daminelli psicologa psicoterapeuta, specializzata in Alta Sensibilità
Il parere della dott.ssa Maria Raffaella Pulli
La violenza nei media può avere un'influenza profonda sulla mente in formazione dei bambini. Non si tratta solo di imitare comportamenti aggressivi, ma anche di assorbire inconsapevolmente modelli negativi e mancanza di empatia. L'abitudine a vedere violenza porta i più piccoli ad essere meno sensibili alla sofferenza altrui. Non tutti i bambini reagiscono allo stesso modo, però. Alcuni potrebbero sviluppare paure o insicurezze, mentre altri potrebbero trovare “normale” usare l'aggressività per risolvere conflitti. Un rapporto della International Society for Research on Aggression (ISRA) ha confermato che l'esposizione frequente alla violenza nei media aumenta il rischio di comportamenti aggressivi, sia a breve che a lungo termine. La responsabilità, però, è degli adulti: il controllo sui contenuti e l'educazione emotiva sono fondamentali. Immagino che con il giusto equilibrio, spiegazioni e stimoli positivi, i bambini possano crescere sviluppando empatia e resilienza, senza lasciarsi condizionare da messaggi dannosi. In fondo, ciò che coltiviamo oggi nei loro cuori sarà ciò che daranno al mondo domani.
Dottoressa Maria Raffaella Pulli - Psicoterapeuta
Dottoressa Maria Raffaella Pulli - Psicoterapeuta
Il parere della dott.ssa Karen Medici
I contenuti violenti a cui i bambini sono esposti per parecchie ore al giorno provengono da video, cartoni, telegiornali, videogiochi; tutti questi canali veicolano un bombardamento di messaggi rapidi con scene orientate all’azione e contenuti violenti, che provocano un sovraccarico sensoriale e una stato di tensione a livello corporeo. Il bambino impara per imitazione. Guardando, si abitua ed impara ad accettare la violenza come strategia per risolvere i conflitti, la imita e la agisce nella realtà, diventando sempre più insensibile ad essa. Sul piano psicologico il bambino può imitare il carnefice ma anche sentirsi vittima. Dopo ogni esposizione la violenza viene trattenuta nel corpo; il corpo del bambino rimane carico di un’energia inespressa, rabbia, senso di frustrazione o di ingiustizia che può portare ad una aggressività verbale o fisica, anche senza un motivo apparente. Ogni organismo in formazione ha la necessità di esprimere le emozioni con tutto il corpo nella relazione, perché grazie ad essa può conoscerle e mediarle; se ciò non avviene ma il bambino resta solo davanti ad uno schermo, ciò che resta in lui è un’emozione senza nome.
Dott.ssa Karen Medici – Psicoterapeuta bioenergetica
Dott.ssa Karen Medici – Psicoterapeuta bioenergetica
Il parere della dott.ssa Patrizia Mattioli
Alcuni studi affermano che vedere la violenza in tv rappresenta un fattore di rischio in età evolutiva: bambini che guardano programmi violenti, più facilmente mettono in atto comportamenti violenti per esempio a scuola, non rispettano le regole, si pongono in modo oppositivo e irriverente nei confronti degli insegnanti; In realtà quello della tv è più probabilmente un fattore di rischio che si aggiunge a una vulnerabilità precedente, legata a gravi disordini e instabilità nell’attaccamento. Attaccamenti insicuri portano infatti allo sviluppo di attitudini aggressive nei bambini. Secondo J.Bowlby (1969) sperimentare un attaccamento insicuro nei primi anni di vita può portare ad una psicopatia affettiva, ossia all’incapacità di formare relazioni affettive significative stabili, e al conseguente sviluppo di una forte rabbia, con incapacità di controllo degli impulsi e scarsa empatia e considerazione della sofferenza degli altri.
Dott.ssa Patrizia Mattioli - Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale
Dott.ssa Patrizia Mattioli - Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale
Fonti
- Browne, K. D., & Hamilton-Giachritsis, C. (2005). The influence of violent media on children and adolescents:a public-health approach. Lancet (London, England), 365(9460), 702–710. https://doi.org/10.1016/S0140-6736(05)17952-5
- Brockmyer J. F. (2022). Desensitization and Violent Video Games: Mechanisms and Evidence. Child and adolescent psychiatric clinics of North America, 31(1), 121–132. https://doi.org/10.1016/j.chc.2021.06.005