Perché un genitore non sopporta più un figlio di 20 anni?

Perché un genitore può trovarsi a non sopportare più un figlio di 20 anni? Esplora le dinamiche familiari che possono portare a tensioni e comprendi come affrontare questi sentimenti.

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Mother and daughter

La genitorialità non è un percorso semplice e scontato, spesso è fatto di sentimenti contrapposti e inaspettati che hanno il potere di metterci a disagio.

Spesso da genitore, può capitare di chiedersi "perché non sopporto più mio figlio di 20 anni?"

La prima cosa da fare è capire le radici del nostro malessere ma soprattutto accettare che l’ambivalenza affettiva non solo è normale ma anche necessaria per l’evoluzione dei rapporti.

La chiave per risolvere questo problema è comprendere i nostri sentimenti e capire cosa possiamo fare per instaurare una relazione genitore/figlio più adulta e consapevole.

La genitorialità: falsi miti e sentimenti contrapposti

L'idea comune è che la relazione tra genitori e figli sia un luogo dove l’amore e la comprensione siano due strumenti prêt-à-porter, onnipresenti, quasi scontati.

Bastano i primi mesi a contatto con un neonato per capire che non è così.

L’amore è tutto tranne che lineare: è un gigantesco yo-yo, una montagna russa entusiasmante ma a volte spaventosa e, perché no, anche irritante. Il problema è che finché i bambini sono piccoli prevale la sensazione di accudimento, di protezione per cui tendiamo a non vedere e soprattutto a non interrogarci.

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Un figlio è il centro del nostro mondo e noi lo siamo per lui.

L’arrivo della tempesta del secolo, alias l’adolescenza, ci fa capire che quella visione idilliaca e serena della genitorialità non corrisponde a verità e può succedere di non sopportare più nostro figlio.

È un sentimento senza dubbio devastante. Siamo più o meno preparati a gestire il contrario: nel calderone della vita, anche se inconsapevolmente, abbiamo inserito l’immagine di un figlio ribelle o indifferente, magari abbiamo provato o stiamo provando lo stesso sentimento nei confronti dei nostri genitori.

Non sopportare un figlio invece è uno stato d'animo improvviso e disturbante, capace di scatenare una sequenza di sensi di colpa, disagi interiori e conflitti che possono davvero turbare il nostro benessere emotivo. Quante volte hai pensato: mio figlio mi sta distruggendo?

Siamo convinti di amare incondizionatamente i nostri figli e siamo perfettamente sinceri quando lo pensiamo, ma non è così. Ci troviamo a scandire la loro vita con i dubbi, le perplessità, con i se e i ma. Quante volte abbiamo pensato "Ma se facesse così?" o "Ma se avesse preso questa strada?" e così via.

La prima cosa da fare è comprendere che le relazioni sane attraversano ciclicamente delle fasi di buio e di disaccordo, a maggior ragione quando un figlio si trasforma in un giovane adulto.

È proprio in questo momento che giunge nel pieno del suo svolgimento quel processo di de-fusione che è iniziato in età adolescenziale, un percorso che non è né discreto né gentile.

È uno strappo, fa male ma è necessario: ci stiamo muovendo verso una relazione genitore/figlio più adulta che va costruita con attenzione ed empatia.

Non sopporto più mio figlio: l'ambivalenza affettiva

L'ambivalenza affettiva è un atteggiamento emotivo in cui coesistono impulsi contraddittori. Possiamo amare e odiare una persona, provare gioia e al tempo stesso tristezza e così via.

La gamma delle emozioni umane è complessa e ricca di sfaccettature. Ridurla a un sistema semplice e lineare non le rende giustizia e soprattutto potrebbe causarci una sensazione di disagio e malessere difficili da gestire.

Per capire le cause dell'insofferenza che proviamo per un figlio, è necessario comprendere e accettare che, prima o poi, tutti soffriamo di ambivalenza emotiva proprio perché siamo esseri complessi, pieni di emozioni, sentimenti e contraddizioni.

Provare sentimenti contrapposti ci fa sentire a disagio con noi stessi ma l’ambivalenza è un passaggio adattivo, soprattutto nella relazione genitore/figlio: ci aiuta a prendere le misure del nuovo ambiente affettivo nel quale saremo chiamati a muoverci.

Perché non sopporto più mio figlio?

I motivi potrebbero essere numerosi. Tra i principali troviamo:

1) Delusione

Le aspettative sono il tallone d'Achille di molti genitori. Pensiamo di aver messo al mondo un futuro ricercatore in aria da Nobel e invece ci ritroviamo un giovane ragazzo che gira il mondo con la sua band oppure ci aspettiamo che segua le nostre orme o che ci ricompensi per le ore trascorse ad accompagnarlo da un allenamento all’altro.

Se pensi che tuo figlio sia un casino, sappi che a volte le aspettative che noi adulti ci poniamo sono troppo alte e generano disagio sia nei nostri figli, quando non le seguono alla lettera, sia in noi stessi perché ci sentiamo delusi e forse anche traditi.

2) Mancanza di condivisione
 

Il passaggio dal bambino che condivideva con noi qualsiasi istante della sua vita all’adulto che invece non ci racconta nulla di sé, è difficile da accettare. Questa mancata condivisione ha il potere di farci sentire esclusi e arrabbiati, due sentimenti che possiamo trasformare facilmente in irritazione.

3) Personalità opposte

Le differenze di opinione, carattere o stili di vita, possono arricchire o creare un divario che può diventare una polveriera pronta a esplodere. Ci convinciamo di non aver nulla da condividere con nostro figlio e non riusciamo a trovare un terreno comune di confronto perché ci sembra che lui odi tutto quello che noi amiamo e viceversa.

4) Ferite

A volte, il sentimento di fastidio che proviamo nei confronti di un figlio, nasconde un dolore profondo causato da comportamenti o parole crudeli che ci hanno ferito ripetutamente. In alcuni casi, questa condizione si verifica quando un genitore ha a che fare con figli che presentano disturbi borderline di personalità o disregolazione emotiva.

A volte invece le ferite non sono state inferte dalla mano di nostro figlio ma sono quelle che ci portiamo dietro dall’infanzia e che, inconsapevolmente, vengono riaperte dai nostri ragazzi, ad esempio nelle situazioni in cui un figlio è indifferente nei confronti dei genitori.

Cosa fare se non sopportiamo più un figlio di 20 anni?

La prima cosa da fare è non negare o minimizzare questo sentimento che potrebbe nascondere, come abbiamo visto, un nostro disagio personale da indagare e risolvere per ritrovare equilibrio e benessere psicologico.

Freud era solito dire che i mestieri più difficili sono, nell'ordine, "il genitore, l'insegnante e lo psicologo". Ogni sistema educativo, anche il più promettente, presenta dei conflitti: l’importante è cercare la strada più efficace per risolverli e sgombrare il campo da inutili e fuorvianti sensi di colpa.

Proviamo a seguire pochi ma semplici consigli.

1. Fare chiarezza

Fare chiarezza dentro di noi è necessario per comunicare in maniera attiva ed efficace con i nostri figli. Cerchiamo di capire quindi:

  • come vogliamo essere percepiti da nostro figlio
  • cosa è importante per noi
  • quali sono i nostri limiti e le nostre esigenze

2. Modificare il nostro atteggiamento

Nostro figlio ha bisogno di sentirsi appoggiato e compreso. Lasciamo da parte le difficoltà, i problemi familiari e le incomprensioni e confessiamogli quanto siamo colpiti dal suo viaggio nella vita. Forse non sarà quello che avremmo preferito per lui ma mostriamoci fieri e orgogliosi.

3. Evitare il vittimismo

La sensazione di dignità violata può allontanarci ancora di più dai nostri figli. Comprendere che il disagio non è soltanto nostro ma anche loro e che siamo entrambi attori protagonisti in questa situazione, crea un terreno sul quale confrontarsi ad armi pari. Un genitore può sbagliare: questo è il punto sul quale riflettere.

4. Non giudicare

Abbiamo il diritto di non essere d’accordo con i nostri figli ma esprimere il proprio punto di vista sulle loro scelte di vita non deve trasformarsi in giudizio. Utilizziamo l’ascolto attivo per capire il perché dei loro comportamenti, cerchiamo di esplorare il loro mondo con gentilezza e curiosità.

5. Combattere la paura

In alcuni casi, l’insofferenza nasconde la paura che possa succedere qualcosa. Vorremmo proteggere i ragazzi da possibili incidenti, da eventi spiacevoli o da delusioni cocenti e non riuscirci ci fa sentire a disagio, arrabbiati con loro e con noi stessi.

Ricordiamo che la paura non ci aiuta a salvaguardare i nostri figli dai pericoli. Facciamo leva sulla fiducia che proviamo nei loro confronti: lasciamoli liberi di sperimentare ma anche di fallire.

Sfruttiamo l'opportunità per visitare questa paura: indaghiamo, cerchiamo di capirne le cause per fare a noi stessi e a nostro figlio un regalo meraviglioso: un genitore sereno e felice.

5. Chiedere aiuto

Non è semplice riuscire a recuperare un rapporto equilibrato con i nostri figli. Parlare con un terapeuta o intraprendere un percorso di terapia familiare può aiutarci a comprendere, elaborare e risolvere l'insofferenza che proviamo nei loro confronti.

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Domenico De DonatisPsichiatra e Direttore Sanitario
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Domenico De Donatis è un medico psichiatra con esperienza nella cura dei disturbi psichiatrici. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Parma, ha poi ottenuto la specializzazione in Psichiatria all'Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Registrato presso l'Ordine dei Medici e Chirurghi di Pescara con il n° 4336, si impegna a fornire trattamenti mirati per migliorare la salute mentale dei suoi pazienti.
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Romana trapiantata in Umbria. Laureata in psicologia e specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Ex-ricercatrice in Psicobiologia e psicofarmacologia. Visione pratica e creativa del mondo, amo le sfide e trovare soluzioni innovative. Appassionata di giochi di ruolo e cultura pop, li integro attivamente nelle mie terapie. Confermo da anni che parlare attraverso ciò che amiamo rende più semplice affrontare le sfide della vita.
Federico RussoPsicologo, Psicoterapeuta, Neuropsicologo
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Psicologo e psicoterapeuta con 8 anni di Esperienza. Iscrizione all’Ordine degli Psicologi - Regione Puglia, n° 5048. Laurea in Psicologia clinica e della salute, Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia presso l'Istituto S. Chiara. Crede che la parte migliore del suo lavoro sia il risultato: l’attenuazione dei sintomi, la risoluzione di una difficoltà, il miglioramento della vita delle persone.
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