Odio digitale, hate speech e shitstorm: cosa sono e come affrontarli
L'odio digitale, l'hate speech e le shitstorm rappresentano fenomeni online dannosi. Comprendere e contrastare questi comportamenti richiede consapevolezza, educazione digitale e azioni collettive per promuovere un ambiente online più sicuro e rispettoso.
L’evoluzione degli strumenti di comunicazione digitale e l’affermazione dei social media hanno permesso ai discorsi d’odio di proliferare in rete. Con “discorsi d’odio” si intende la pubblicazione e la propagazione di opinioni non rispettose della dignità umana, ma anche quell’insieme di comportamenti, atteggiamenti e gesti che incitano alla violenza o risultano discriminatori di un gruppo o di un singolo, sulla base di principi etnico-razziali, politico-religiosi, di orientamento sessuale e non solo.
All’interno dei discorsi d’odio rientrano anche le shitstorm, termine che indica attaccare una celebrità con critiche e insulti estremamente feroci, da parte di un consistente gruppo di persone, spesso in modo organizzato. Colpire una persona celebre o anche un’azienda può dare l’impressione di essere narcisisticamente onnipotenti, per quanto in maniera negativa e totalmente distruttiva.
Su internet, una persona mossa da sentimenti di rancore si sente completamente libera di esprimerli, come se nella realtà digitale non ci fossero limiti e regole. La rete ci permette di agire tramite profili anonimi o falsi, e questa deresponsabilizzazione può farci scaricare sugli altri il nostro malessere e le tendenze aggressive. Le persone più giovani sono anche le più vulnerabili e facilmente influenzabili, perché avvertono la tendenza a omologarsi con quella che ritengono una maggioranza, in un momento in cui devono ancora costruire la loro personalità adulta. Il filtro del computer o di un telefono fa entrare in gioco anche un secondo fenomeno: la mancanza di rispecchiamento empatico con la vittima. Nascondendosi dietro uno strumento digitale ci si può sentire emotivamente distanti e meno colpevoli.
Chi si comporta in questo modo spesso nasconde un disagio profondo, una mancata regolazione degli impulsi o, in alcuni casi, una diagnosi psichiatrica. Spesso le vittime dell’odio digitale fanno parte di una minoranza, oppure sono individui che rispetto a una maggioranza relativa presentano caratteristiche peculiari e distintive. Per una persona giovane, la cui mente è ancora in formazione, gli effetti di queste situazioni possono essere molto seri: subire l’odio social di un gruppo può portare a insicurezza, isolamento, sintomi depressivi, angoscia, fobie e ritiro sociale. Non va dimenticato che, nell’epoca in cui viviamo, l’immagine di sé data attraverso internet e i social è estremamente importante, sia per gli adulti che per i giovani: la nostra auto-percezione ne viene continuamente alimentata.
L’aspetto generazionale influisce sul "lasciarsi trascinare" dalle dinamiche di gruppo. Le persone di età inferiore ai 24 anni sono portate a seguire la “maggioranza” perché non possiedono ancora un’identità integrata e ben definita, e tendono a identificarsi con quella del gruppo più numeroso. Negli adolescenti è più attiva la parte ancestrale del cervello, legata alle emozioni primarie, quindi le reazioni sono quasi sempre più aggressive e meno regolate. Lo sviluppo della (più evoluta) corteccia prefrontale, che è l’area del cervello dedicata al ragionamento, alla pianificazione e all’inibizione di atteggiamenti socialmente dannosi, si completa infatti intorno ai 24 anni. È impossibile pensare che lo sviluppo neuro-evolutivo della nostra mente non abbia un’influenza, insieme ad altre variabili situazionali e sociali, sul modo in cui ci comportiamo.
Come se ne esce? Bisognerebbe interrogarsi in maniera profonda sui discorso d’odio e lavorare in maniera preventiva, favorendo dinamiche di confronto sano, nel rispetto dei reciproci confini e delle differenze, e intercettando le forme precoci di disagio per evitare che possano espandersi in maniera esponenziale. È inoltre importante non rispondere all’odio con l’odio, perché in questo modo non si fa altro che alimentare un circolo distruttivo e malato di prepotenza, aggressività e violenza. La diffusione di comportamenti socialmente corretti può contribuire a spezzare catene di odio che appaiono indistruttibili e insanabili.
Quando si è vittime di hate-speech, può essere utile rivolgersi a uno psicologo o a uno psicoterapeuta per razionalizzare l’accaduto e mettere in ordine la mente e le emozioni. I testimoni degli attacchi possono comunque dare un contributo non professionale, mostrando solidarietà alla persona offesa e condannando pubblicamente la violenza di cui hanno preso atto. Questo è fondamentale, perché spesso quello che ferisce nella dignità le vittime non sono soltanto le offese ricevute, ma anche e soprattutto il silenzio di chi ha assistito, che può suonare come un assenso.
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