La neuroplasticità del cervello: cos'è e come funziona
Il nostro cervello è una macchina meravigliosa, interessante, complessa e persino capace di cambiare in base alle esperienze che facciamo, argomento di numerose discipline psicologiche. Sì, avete capito bene: quell'incredibile strumento che sta nella nostra testa, insieme alle interconnessioni, modifica la sua struttura a seconda di come va la nostra vita. Una funzione assai affascinante e che prende il nome di neuroplasticità.
In questo articolo scopriremo insieme cos'è esattamente la neuroplasticità, come funziona e quali sono le possibili conseguenze negative di questa particolare funzione cerebrale.
Cos'è la neuroplasticità del cervello
La neuroplasticità del cervello, chiamata anche plasticità cerebrale, è la capacità del nostro sistema nervoso di modificare i propri circuiti a seconda delle esperienze. Lo scopo è quello di apprendere informazioni sull’ambiente, ma anche di riparare o compensare eventuali danni cerebrali.
Nelle forme più primitive del cervello rettiliano vi era un'incapacità di adattamento, a causa del limitato accesso alla memoria a breve termine. Il cervello rettiliano rappresenta la parte più primordiale del nostro sistema nervoso, ben lontano dai meccanismi complessi del nostro cervello che conosciamo oggi.
Questa potenzialità appartiene agli uomini e ad alcuni animali, e si esprime con un aumento delle dimensioni di alcune regioni del cervello. Tutto ciò accade perché le cellule neuronali hanno maggiore attività, e questo gli permette di dare vita a più sinapsi.
Come è possibile immaginare, purtroppo non è detto che cambi sempre in senso positivo. Alcuni eventi della nostra vita possono infatti portare a modificazioni che in qualche maniera danneggiano la nostra sopravvivenza, fisica ed emotiva.
Nel libro Inhibitory regulation of plasticity across the lifespan in the rat primary auditory cortex, si può infatti leggere che nei casi in cui l’esperienza sensoriale è anormale o assente, possono scatenarsi diversi effetti negativi, tra cui la mancata acquisizione di abilità sensoriali e cognitive.
L’amigdala, una struttura nel cervello coinvolta nel processo delle emozioni e della memoria, influenza profondamente il pensiero e il comportamento umano, insieme all'ipotalamo, che fa da intermediario tra il sistema nervoso e il sistema endocrino.
Anche alcuni neurotrasmettitori incidono sulla neuroplasticità, pensiamo alla melatonina. La melatonina può avere effetti collaterali, che danneggiano il consolidamento della memoria e la modulazione della plasticità sinaptica. La serotonina, invece, può influenzare la plasticità sinaptica attraverso i suoi recettori, modulando la trasmissione neuronale. Entrambe, serotonina e dopamina, sono necessarie per la formazione di nuove connessioni sinaptiche e la stabilizzazione di quelle esistenti.
Il malfunzionamento di queste strutture può incidere negativamente sulla nostra salute mentale.
I processi coinvolti
I meccanismi fondamentali che regolano la neuroplasticità svolgono un ruolo chiave per il recupero dalle lesioni. Tra questi citiamo:
- Aumento del numero di sinapsi tramite lo smascheramento di sinapsi latenti: Quando impariamo qualcosa di nuovo, il nostro cervello può rendere più forte le connessioni tra i neuroni. Questo processo si chiama "smascheramento di sinapsi latenti".
- Gemmazione dendritica o arborizzazione dei neuroni adiacenti: I neuroni hanno braccia chiamate dendriti che ricevono segnali da altri neuroni. Questo amplia la superficie del neurone per ricevere maggiori segnali.
- Rigenerazione assonale: Dopo un danno al cervello, alcuni neuroni possono ripararsi. Gli assoni, filamenti dei neuroni, potessero crescere di nuovo per ricollegarsi con altri neuroni.
- Neoangiogenesi: Il cervello può fare crescere nuovi vasi sanguigni per portare più nutrienti e ossigeno alle aree che ne hanno bisogno.
- Modifica dell'eccitabilità dei neuroni: I neuroni comunicano attraverso segnali elettrici. Quando impariamo qualcosa di nuovo, i neuroni possono possono inviare segnali elettrici più facilmente. Questo può aiutare il cervello a trasmettere e ricevere informazioni più efficacemente.
Le esperienze ripetute che coinvolgono la simultanea attivazione di specifici circuiti nervosi portano alla formazione di connessioni più forti e efficienti tra i neuroni coinvolti. Questo fenomeno è cruciale per l'apprendimento e la memorizzazione delle informazioni nel cervello e sottolinea l'importanza dell'esperienza nell'organizzazione e nella modifica delle reti neurali. La legge di Hebb spiega proprio questo processo fondamentale: quando due neuroni sono attivati contemporaneamente, la trasmissione sinaptica tra di essi è facilitata.
Neuroplasticità con il passare degli anni
Una volta raggiunta l'età adulta, la formazione di nuovi neuroni nel cervello è estremamente limitata. Tuttavia, nonostante la ridotta neurogenesi, il cervello conserva la capacità di modificare la sua struttura e la sua funzione attraverso la plasticità neuronale.
In ambito psicologico la neuroplasticità del cervello gioca un ruolo chiave in tanti settori. In primis sull'apprendimento, in secondo luogo anche sul nostro sviluppo e tutto ciò che lo riguarda.
Se dovesse capitarci di subire dei danni cerebrali che portino alla morte cellulare e alla compromissione dei circuiti funzionali, per esempio, le aree coinvolte potrebbero rigenerarsi. Il condizionale utilizzato nella frase non è stato scelto a caso, perché il tutto dipenderebbe dall'entità del danno subito.
Anche senza problemi cerebrali esiste la neuroplasticità. Essa emerge, infatti, grazie all’apprendimento di nuove abilità per effetto di esercizio ripetuto e continuato. Al tal proposito, uno studio di Woollett e Maguire del 2011 effettuato su alcuni tassisti londinesi ha dimostrato che l’ippocampo posteriore è risultato di volume maggiore nelle persone che facevano quel mestiere rispetto ad altri. Il motivo? Quella zona del nostro corpo ci è utile anche per le conoscenze visuo-spaziali, particolarmente importanti per chi guida. In questi signori l’ampiezza di quella parte di struttura cerebrale è risultata persino crescere con l’aumento progressivo dell’esperienza.
E con l'avanzare dell'età cosa succede? Come ci spiega la psicologia dello sviluppo, invecchiando il nostro cervello subisce delle modifiche in diverse aree ma che , purtroppo, portano al deterioramento delle corrispondenti funzioni cognitive. I recuperi cognitivi mirano a sfruttare la plasticità cerebrale anche in età avanzata, incoraggiando il cervello a trovare nuove strategie e percorsi per mantenere o migliorare le funzioni cognitive. I training di memoria (Pappa K. et al, 2022) impiegano associazioni mnemoniche, processi di categorizzazione e così via.
Plasticità cerebrale e psicologia
Molti dei comportamenti che mettiamo in atto sono frutto del nostro processo di apprendimento. Ciò vuol dire che quando impariamo qualcosa di nuovo e lo memorizziamo, si modificano plasticamente determinate strutture anatomiche cerebrali.
L'ambito di studio che se ne occupa è la neuropsicologia, una disciplina che si concentra sull’analisi delle funzioni cognitive, emotive e comportamentali attraverso l’osservazione dei processi neurali.
Questa interessante interazione tra cervello ed esperienza si nota anche nei disturbi psicopatologici. Coloro che soffrono di disturbi d’ansia e depressione maggiore, per esempio, in diversi casi mostrano un’eccessiva attivazione di alcune strutture cerebrali e un ridotto funzionamento di altre.
Per ridurre i sintomi, molto spesso si ricorre a trattamenti farmacologici che possono essere facilitati seguendo una psicoterapia.
Il motivo di tutto ciò bisogna ricercarlo nel fatto che un esperto della salute mentale ci può aiutare a modificare il nostro comportamento attraverso nuove esperienze e nuovi apprendimenti. Tutto questo viene poi registrato nelle reti neuronali che formano il cervello.
In sostanza, la psicoterapia ci aiuta a ristrutturarci a livello cognitivo perché riesce a farci modificare le nostre convinzioni disfunzionali relative a noi stessi e al mondo esterno.
Si può allenare il cervello a sfruttare la neuroplasticità?
Cosa possiamo fare per allenare il nostro cervello a sfruttare questa sua caratteristica di neuroplasticità? La verità è che il nostro cervello, e osiamo dire: per fortuna, è in continuo movimento e cambiamento.
La teoria di Piaget si adatta bene alla neuroplasticità perché analizza i meccanismi di assimilazione e accomodamento attraverso i quali il cervello integra e si adatta alle nuove esperienze, consentendo il continuo apprendimento e adattamento durante tutto il corso della vita.
Le neuroscienze cognitive ad esempio, rappresentano un campo interdisciplinare che si fonde tra psicologia e neurobiologia per indagare proprio i processi mentali e le sue funzioni cerebrali. Attraverso un approccio integrato, questo ambito mira a esplorare il funzionamento della mente umana, dalla percezione sensoriale al pensiero astratto e alla presa di decisioni. L'ansia ad esempio è una risposta adattiva alla percezione di pericolo. Tuttavia, quando l'ansia diventa intensa, può influenzare profondamente il nostro sistema cerebrale, i nostri pensieri e i nostri comportamenti comportando difficoltà di concentrazione e problemi di memoria.
Il motivo è molto semplice: sono tantissime le attività che allenano la neuroplasticità. Tuttavia, ci sono casi più complessi, come per esempio i disturbi d'ansia, che richiedono l'intervento di un esperto della salute mentale o un trattamento farmacologico in assenza di serotonina.
Le tecniche utilizzate in psicoterapia
Tra le varie tecniche che possono aiutare la neuroplasticità del cervello, soprattutto nei disturbi d'ansia, c'è quella chiamata "d'esposizione". Consiste nel fare esercizi in cui ci sottopone volontariamente a una situazione problematica che genera in noi ansia o paura.
Il terapeuta ci aiuta a vivere questa esperienza in maniera diversa, rispetto a quella fino ad ora vissuta, in modo da modificare le nostre convinzioni e ridurre l'ansia.
C'è poi la desensibilizzazione sistematica, ovvero l’associare allo stimolo che ci provoca ansia tecniche di rilassamento. Paziente e terapeuta immaginano situazioni che vanno da quelle meno ansiogene a quelle che lo sono di più, ma imparando a mantenere uno stato di rilassamento durante tutto il percorso.
Un'altra valida tecnica per migliorare la neuroplasticità del nostro cervello è l' EMDR, acronimo di Eye Movement Desensitization and Reprocessing. Si basa sull'uso di alcuni tipi di stimolazione esterna, in particolare oculare, poiché riescono ad aiutare una persona ad elaborare un evento traumatico.
Lo scopo è quello di facilitare la guarigione del paziente e il superamento del trauma attraverso il riprocessamento dei ricordi. Un sistema che si è rivelato particolarmente utile nel disturbo post traumatico da stress.
Possiamo quindi concludere dicendo che, alla luce del dono della neuroplasticità e della possibilità di poter apprendere continuamente, il malessere mentale e il disagio non devono buttarci giù. Anzi, tutto il contrario: dobbiamo essere consapevoli che possiamo trasformarci continuamente.
In parte il nostro cervello lo fa in autonomia, in altri casi è invece necessario l'aiuto di un esperto: anche un piccolo intervento all’interno del nostro complesso sistema può farci fare dei passi da giganti verso la serenità e la felicità.
In questo blog troverai tantissimi altri articoli che parlano di salute mentale.
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Fonti
- Cisneros-Franco, J. M. (2020). Inhibitory regulation of plasticity across the lifespan in the rat primary auditory cortex. McGill University (Canada).
- Katherine Woollett, Eleanor A. Maguire. Acquiring “the Knowledge” of London’s Layout Drives Structural Brain Changes. Current Biology, 2011; DOI: 10.1016/j.cub.2011.11.018.
- Stent GS. A physiological mechanism for Hebb's postulate of learning. Proc Natl Acad Sci U S A. 1973 Apr;70(4):997-1001. doi: 10.1073/pnas.70.4.997. PMID: 4352227; PMCID: PMC433410.
- Cooper SJ. Donald O. Hebb's synapse and learning rule: a history and commentary. Neurosci Biobehav Rev. 2005 Jan;28(8):851-74. doi: 10.1016/j.neubiorev.2004.09.009. PMID: 15642626.
- Pappa K, Flegal KE, Baylan S, Evans JJ. Working memory training: Taking a step back to retool and create a bridge between clinical and neuroimaging research methods. Appl Neuropsychol Adult. 2022 Nov-Dec;29(6):1669-1680. doi: 10.1080/23279095.2021.1904243. Epub 2021 Apr 1. PMID: 33794120.