Violenza di genere contro le donne: radici e come contrastarla

La violenza di genere contro le donne ha radici profonde nella disuguaglianza di genere e nel patriarcato. Gli interventi possono includere l'educazione sulla parità di genere, la protezione delle vittime, il sostegno legale e la sensibilizzazione pubblica per promuovere il rispetto e l'uguaglianza.

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Donna che dice stop alla violenza di genere

Cos’è la violenza di genere?

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata nel maggio 2011 e anche nota come Convenzione di Istanbul, definisce la violenza contro le donne:

“Una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata” 1.

 

Sono state individuate diverse forme di violenza contro le donne:

  • la discriminazione, come atteggiamento di fondo, assunto di base implicito, per cui le donne non godono degli stessi diritti e riconoscimenti sociali, lavorativi ed economici degli uomini e sono poste nella condizione di patire maggiori ingiustizie;
     
  • le minacce verbali come comportamento di manipolazione e prevaricazione sulla donna;
     
  • la violenza fisica;
     
  • la violenza sessuale, a partire dalle molestie sul piano verbale fino allo stupro;
     
  • la violenza psicologica, costituita da comunicazioni esplicite o implicite volte a manipolare e minare il senso di sicurezza, autonomia e libertà della donna, il senso di sé e l’autostima;
     
  • la violenza economica, costituita da tutti i comportamenti che privano la donna delle risorse materiali per essere indipendente;
     
  • la privazione della libertà, costituita da tutti i comportamenti che impediscono alla donna di disporre liberamente del proprio tempo e dei propri spazi, della propria libertà di movimento e di porre in essere i propri progetti, le proprie scelte, la propria realizzazione di sé.
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Le violenze contro le donne sono una pluralità di crimini e comportamenti espliciti e impliciti che tendono a sommarsi soprattutto nei contesti familiari, domestici e nelle relazioni. I contesti delle violenze possono essere privati, come la casa o la famiglia, ma anche pubblici, come la strada o i mezzi di trasporto, la scuola o il lavoro. L’intervento rivolto alle vittime agisce quindi su più livelli: medico, psicologico, sociale, lavorativo. I bambini che assistono agli attivi sono vittime di violenza assistita: devono essere accompagnati in un percorso di espressione e rielaborazione dei traumi ed essere protetti sul piano socio-ambientale.

 

Le radici profonde delle violenze contro le donne

Aspetti strutturali: la differenza di genere

La differenza tra i sessi, ossia la differenza fisica tra maschio e femmina, anche quindi in termini di struttura muscolare e forza fisica, è considerabile storicamente, ossia fin dall’inizio dell’esistenza della nostra specie, la base dei rapporti di forza, ossia della prevaricazione fisica e sociale del maschio sulla femmina.

La violenza contro le donne ha delle radici strutturali, primitive, anteriori a culture o religioni specifiche. Si basa sulle differenze biologiche tra maschio e femmina che sono state usate per perpetuare un maggiore potere dell’uomo sulla donna. Culture e religioni, originate da questa primitiva sottomissione fisica, hanno conservato assunti di base ed aspetti impliciti ed espliciti che riflettono tale prevaricazione.  

A confermare questa ipotesi ci sono:

  • i dati internazionali, che mostrano la trasversalità culturale e geopolitica della violenza di genere;
  • i dati clinici, che mostrano la stessa cosa, sia in termini di Paesi di provenienza che di livello di istruzione raggiunto nella cultura di riferimento. Per cui autori di violenza sono tanto uomini con elevato livello di istruzione che con basso livello di istruzione;
  • la cronaca, che ci racconta violenze e femminicidi perpetrati in Paesi diversi da autori diversi per cultura e religione di riferimento.

 

 

Aspetti contestuali: molti fattori in gioco

Nella Relazione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere del Parlamento Italiano, si riconosce che il comportamento maschile violento contro le donne è determinato da fattori:

  • socio-culturali;
  • relazionali;
  • psicologici;
  • cognitivi;
  • emotivi;
  • comportamentali;
  • criminologici

 

Difficoltà relazionali, cognitive ed emotive

L’anamnesi familiare mostra due tipologie di famiglia prevalenti

  • con padre assente (deceduto; all’estero per lavoro; disimpegnato dalla relazione con il   figlio; ecc.) e madre che svolge entrambi i ruoli, materno e paterno, in una relazione simbiotica con il figlio;
  • con padre presente ma invasivo e abusante, con coinvolgimento del figlio nei conflitti coniugali e relazione simbiotica del figlio con la madre;

In entrambe le tipologie:

  • le relazioni tra familiari non sono sufficientemente differenziate: sono rigide ed emotivamente invischiate con scambi comunicativi ambivalenti, instabili e rapide escalation di violenza psicologica, fisica ed economica;
  • il figlio non ha potuto sperimentare esperienze di co-regolazione emotiva con i genitori, apprendimento esplicito di un linguaggio per comprendere, esprimere e condividere le emozioni e apprendimento esplicito di strategie metacognitive di regolazione emotiva a lungo termine.

 

Modalità simbiotica di relazione

La relazione simbiotica e non differenziata con la madre è interiorizzata e mantenuta come modello relazionale interno. La donna è vista come unico contenitore emotivo-affettivo in cui riversare ogni esigenza ed ogni emozione, senza filtri e senza differenziare tra sé e la donna come persona esterna a sé e dotata di vita autonoma.

Il modello di relazione simbiotica sperimentato implicitamente con la madre viene trasferito in modo implicito, irriflesso e senza soluzione di continuità dalla madre alla partner, che viene vissuta come contenitore del proprio sé. La partner dovrà rispondere alle esigenze del partner senza porre filtri o limiti di sorta che non sono né pensabili, né tollerabili per l’uomo in quanto discrepanti con la forma simbiotica della relazione che è stata interiorizzata in modo acritico.

 

Rifiuto della distanza

Ogni forma di autonomia della partner è vissuta come provocazione e allontanamento intollerabili. Facilmente si attivano escalation in cui il comportamento della partner è interpretato come irrispettoso, passando in modo acritico alla violenza verbale, psicologica e fisica o anche sessuale. Questi comportamenti riproducono un modello arcaico di sottomissione della partner che azzeri ogni sua iniziativa autonoma e perciò stesso distanziante.

 

Il contrasto possibile: ricerca ed intervento

Come contrastare la violenza di genere

La ricerca

I dati disaggregati (dati anagrafici, studi, professione, storia familiare, relazione con la vittima), formano le prime tracce per descrivere le tendenze del fenomeno. Permettono di costruire una griglia di lettura. Attraverso le maglie di questa griglia, possiamo costruire le ipotesi sulle cause profonde e costruire linee guida mirate e uniformi.

 

L’ intervento

In Italia non esistono ancora linee guida in tal senso, ma solo esperienze regionali disomogenee e approcci diversi che variano da un’esperienza all’altra. Il carattere trasversale e complesso del comportamento violento maschile e l’esperienza clinica suggeriscono un approccio integrato, che:

  • non si limiti ad accostare in modo eclettico tecniche e concetti di approcci diversi;
  • permetta un lavoro strutturato, consapevole e mirato sui tanti fattori implicati;
  • preveda setting coordinati di terapia individuale e di gruppo;
  • preveda dove necessario la farmacoterapia
  • preveda il lavoro di rete fra ambito sanitario, servizi sociali, ambito giuridico e Forze dell’Ordine.

 

La costruzione di una rete consapevole ed efficiente

Appare indispensabile formare una rete che comprenda tutte le figure professionali che hanno modo di entrare in contatto con autori o autori potenziali di violenza contro le donne:

  • psicologi e psicoterapeuti;
  • medici;
  • ospedali, in particolare i triage di Pronto Soccorso;
  • avvocati;
  • magistrati;
  • assistenti sociali;
  • forze dell’Ordine.


Appare fondamentale costruire delle prassi comuni per coordinare gli interventi e rendere efficace la comunicazione tra i nodi di questa rete.  

 

La terapia

In questi casi, la terapia ha funzione di prevenzione primaria, secondaria e terziaria. In primo luogo, è un intervento psicoeducativo per sviluppare competenze metacognitive di analisi del comportamento, delle motivazioni e competenze relazionali. In secondo luogo, può prevenire la recidiva attraverso l’elaborazione delle radici familiari, cognitive, emotive e relazionali del comportamento violento; infine, può essere un intervento di osservazione e sostegno nel contesto carcerario.

È però un argomento molto controverso, per almeno due ragioni:

  • sul piano giuridico, il nostro sistema giudiziario associa i percorsi psicologici a benefici in sede giudiziale. Questo mette in dubbio la motivazione al cambiamento degli autori di violenza; 
  • sul piano di alcune correnti di pensiero che non ammettono la terapia degli autori di violenza perché offensiva delle vittime, ritenuta non autentica o efficace per via dei marcati tratti manipolativi dei destinatari o ritenuta collusiva con detti tratti manipolativi.

 L’esperienza clinica però mostra che:

  • è possibile svolgere un percorso terapeutico senza colludere con le manipolazioni degli autori di violenza ed anzi estrapolare da esse, leggendo tra le righe ed esplicitando i contenuti, delle motivazioni più autentiche;
  • ricevere da parte loro un forte investimento sul piano della relazione e della alleanza terapeutica, arrivando a svolgere anche percorsi lunghi e articolati;
  • elaborare una consapevolezza dei comportamenti violenti;
  • trasformare gli agiti violenti in rappresentazioni immaginative di azioni violente, non più compiute all’esterno ma solo visualizzate all’interno della mente.

 

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Bibliografia

Conzatti D., Majorino A., a cura di, Relazione sui percorsi trattamenti per uomini autori di violenza nelle relazioni affettive e di genere: prevenire e trattare la violenza maschile sulle donne per mettere in sicurezza le vittime, Senato della Repubblica, XXII-bis n. 8;

Cilento F.M., Radici relazionali ed intrapsichiche della violenza. Profili di uomini violenti., Convegno di Fine Progetto, Progetto “Parla con noi”, Regione Lazio e Associazione Donna e Politiche Familiari 2017-2019, Roma, Casa Internazionale delle Donne, 22 Novembre 2019;

Cilento F.M., La costruzione dei dati. Dai parametri condivisi alle radici profonde. Meta-analisi dei dati sulla violenza di genere, Relazione Convegno di apertura del Centro M.I.R. Maschile in Relazione, Centro Regionale del Lazio per il contrasto alla violenza maschile, Dipartimento pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Regione Lazio, Roma, 04 Maggio 2022;

Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, Serie dei Trattati del Consiglio d’Europa – N° 210;

Stefanile S., Relazione di Fine Progetto, Progetto “Parla con noi”, Regione Lazio ed Associazione Donna e Politiche Familiari 2017-2019, Roma, Casa Internazionale delle Donne, 22 Novembre 2019;

LeDoux J., Synaptic Self. How Our Brain Become Who We Are, Viking Penguin, New York 2022;

Siegel D.J., The Developing Mind: How Relationships and the Brain Interact to Shape Who We Are. Third Edition, Guilford Press, New York, 2020.

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Domenico De DonatisPsichiatra e Direttore Sanitario
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Domenico De Donatis è un medico psichiatra con esperienza nella cura dei disturbi psichiatrici. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Parma, ha poi ottenuto la specializzazione in Psichiatria all'Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Registrato presso l'Ordine dei Medici e Chirurghi di Pescara con il n° 4336, si impegna a fornire trattamenti mirati per migliorare la salute mentale dei suoi pazienti.
Dott.ssa Martina MiglioreDirettore della Formazione e dello Sviluppo
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Romana trapiantata in Umbria. Laureata in psicologia e specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Ex-ricercatrice in Psicobiologia e psicofarmacologia. Visione pratica e creativa del mondo, amo le sfide e trovare soluzioni innovative. Appassionata di giochi di ruolo e cultura pop, li integro attivamente nelle mie terapie. Confermo da anni che parlare attraverso ciò che amiamo rende più semplice affrontare le sfide della vita.
Federico RussoPsicologo, Psicoterapeuta, Neuropsicologo
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Psicologo e psicoterapeuta con 8 anni di Esperienza. Iscrizione all’Ordine degli Psicologi - Regione Puglia, n° 5048. Laurea in Psicologia clinica e della salute, Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia presso l'Istituto S. Chiara. Crede che la parte migliore del suo lavoro sia il risultato: l’attenuazione dei sintomi, la risoluzione di una difficoltà, il miglioramento della vita delle persone.
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