Il Job-Hopping e il bisogno di autorealizzazione: una chiave di lettura psicologica
Il Job-Hopping, influenzato dalla digitalizzazione e dalla pandemia, è la tendenza a cambiare lavoro frequentemente, vista dai lavoratori come un'opportunità di autorealizzazione e dalle aziende come una sfida nella gestione delle risorse umane.
La crescente digitalizzazione e l’aumento delle richieste di nuove competenze nell’ambito delle AI generative stanno portando a nuove sfide per il mondo HR. Su scala globale, affrontare tali sfide risulta particolarmente complicato quando si diffondono fenomeni che inevitabilmente implicano una riconsiderazione del lavoratore su un piano psico-sociale. Anche la pandemia ha contribuito ad accelerare alcuni fenomeni, dalla Great Resignation al Quiet Quitting, fino al Job-Hopping.
Definizione di Job-Hopping
Il Job-Hopping, letteralmente "salto del lavoro", è la tendenza a passare da un lavoro a un altro o da un contesto aziendale a un altro in un dato periodo, con la finalità di trovare uno spazio adeguato, in termini non solo retributivi, ma soprattutto valoriali. Come per gli altri fenomeni citati, anche il Job-Hopping coinvolge la Generazione Z (Gen Z) e si diffonde nell’ambito IT, sottoposto a continui cambiamenti, nei quali l’offerta di lavoro risulta essere superiore alla domanda.
Questa situazione spinge a riflettere sugli impatti che interessano due livelli: quello aziendale e quello relativo alla risorsa umana. Sebbene per le aziende il Job-Hopping possa rappresentare un costo, implicando la perdita di talenti e richiedendo sforzi nella Talent Acquisition, per il lavoratore il salto è, invece, vissuto come un’opportunità.
Le cause psicologiche del Job-Hopping
Ma quali tipologie di opportunità potrebbero esserci dietro il "salto del lavoro"? Per provare a rispondere a questa domanda, è necessario inquadrare meglio il Job-Hopping partendo dalla letteratura scientifica. Alcuni autori (Wider et al., 2023) sostengono che si tratta di un fenomeno partito dal mondo IT, ma che si sta diffondendo a macchia d’olio anche in altri contesti, come l’ambito dell’edilizia.
Attraverso l’analisi empirica, altri autori (Steenackers & Guerry, 2016), in controtendenza rispetto alla visione comune del fenomeno, mostrano che l’età non è un fattore determinante nella frequenza del Job-Hopping. Il genere, invece, modera questa relazione. Pertanto, l’analisi supporta l’opinione che le giovani donne tendono a fare più Job-Hop rispetto ai giovani uomini, ma con l’età, le donne hanno significativamente più probabilità degli uomini di rimanere nella stessa azienda. Inoltre, gli autori registrano che il livello di istruzione non ha alcuna influenza sul comportamento Job-Hop, indicando che avere più alternative di lavoro non porta necessariamente al comportamento di effettivo Job-Hop. Infine, sia il settore che le dimensioni dell’organizzazione non sono significativamente legate alla frequenza del Job-Hop.
Questo studio evidenzia che il "salto del lavoro", sebbene sia un fenomeno già conosciuto in letteratura, implica due odierne e importanti riflessioni in termini di opportunità: una sociale e l’altra individuale. Sul piano sociale, eventi come quello pandemico comportano un cambiamento dei bisogni (es. equilibrio lavoro-vita privata). Influenzati dai cambiamenti sociali, l’opportunità che spinge la risorsa umana al salto potrebbe essere il bisogno di "autorealizzazione" (Rogers, 1971; Maslow, 1951), ovvero la massima aspirazione attraverso cui l’essere umano, in quanto lavoratore, realizza le proprie potenzialità, al fine di raggiungere l’autenticità. La risorsa umana, bisognosa di ricercare il suo vero sé nel contesto lavorativo, salta da un lavoro all’altro e/o da un contesto aziendale all’altro, al fine di realizzarsi in una cultura organizzativa attenta alla cura delle sue potenzialità.
Il Job-Hopping, quindi, può essere considerato un’opportunità se, in caso di possibilità sociali di cambiamento, il lavoratore può realizzare se stesso, esprimendo il vero sé. Questa potrebbe essere una chiave di lettura psico-sociale del fenomeno, attraverso cui ripensare i processi di Talent Acquisition della Gen Z (e non solo), immaginando un percorso che tenga conto del bisogno di autorealizzazione dei prospect (candidati inseriti nel processo di selezione).
I numeri del Job-Hopping in Italia
Anche l’Italia è stata investita dal fenomeno. Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio di Randstad (Randstad, Employer Brand Research, 2023) per il Sole 24 Ore, nel 2021 si è riscontrato un totale di più di 900mila Job-Hoppers in Italia. L’intervento di Randstad è stato quello di operazionalizzare il fenomeno in maniera restrittiva: includendo, cioè, i lavoratori dipendenti che hanno cessato il proprio contratto a meno di due anni dalla sua attivazione in maniera volontaria.
Sulla base di questa definizione, i ricercatori Randstad hanno raccolto i dati longitudinalmente nel decennio 2011-2021, registrando un decremento del numero di Job-Hopper con il passare del tempo. In controtendenza, sono invece i dati raccolti da Anpal Servizi, che effettua un tentativo di maggiore focalizzazione della definizione di "Job-Hop", raccogliendo il numero di professionisti dimessi due o più volte nell’arco di 24 mesi. Anpal Servizi, infatti, registra un incremento di 350mila Job-Hopper italiani nel biennio 2015-2016 (rispetto ai 2 milioni del biennio precedente) e un dato in forte crescita di circa il 20% negli anni a seguire.
Cosa può fare un’azienda per evitare le dimissioni volontarie dei propri dipendenti?
Il Job-Hopping resta comunque un fenomeno a cui prestare attenzione sia da un punto di vista psicologico/individuale, sia da un punto di vista aziendale. Dal punto di vista aziendale, è possibile prevenire il fenomeno investendo sul capitale umano. Tutto ciò apre al mondo HR nuove traiettorie di intervento, che pongono al centro i bisogni del lavoratore, in quanto essere umano, in un ascolto attivo e individuale dei bisogni, come quello di autorealizzazione, uscendo dalla logica della complessività e promuovendo l’unicità della risorsa umana. Rafforzare le strategie di onboarding, ritagliandole sul singolo, consente già in una prima fase di mappare i bisogni e co-costruire dei percorsi di carriera personalizzati.
Bibliografia
- Maslow, A. H. (1971). *The Farther Reaches of Human Nature*. New York: Viking Press.
- Rogers, C. (1951). *Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory*. London: Constable.
- Steenackers, K., & Guerry, M. A. (2016). Determinants of job-hopping: an empirical study in Belgium. *International Journal of Manpower*, 37(3), 494-510.
- Wider, W., Bakar, S. M. S. A., Dzulkalnine, N., Saad, A., Fauzi, M. W. M., & Ong, Z. H. (2023). Factors influencing Job-Hopping Behaviour in Malaysian Construction Sector. *Journal for ReAttach Therapy and Developmental Diversities*, 6(10s (2)), 968-974.