Espatriare ma sentirsi in famiglia: il senso di appartenenza

Esplora il fenomeno dell'espatrio e il desiderio di sentirsi a casa lontano da casa: il senso di appartenenza. Approfondisci con noi le sfide e le esperienze legate a vivere in un paese straniero e scopri come coltivare un senso di appartenenza anche in contesti diversi dalla propria cultura di origine.

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Quando ci si trasferisce in un Paese straniero, viene meno la risposta a uno dei bisogni che tutti avvertiamo per sentirci integrati nella società nella quale siamo inseriti, ovvero il senso di appartenenza. Lo dimostra il fatto che questo sia uno dei temi più trattati dagli psicologi e dalle psicologhe che seguono persone di origine italiana che sono espatriate: questo perché il cambiare ambiente in cui stabilire la propria casa innesca una serie di incertezze derivanti dallo stravolgimento del contesto sociale. Non basta vivere in uno stato nuovo e riuscire, magari, anche ad adattarsi, per sentire di appartenervi. Quindi come si può fare per riuscire a rispondere a questo bisogno sociale fondamentale?

Il senso di appartenenza deriva dall’inclusione, che è strettamente correlata al modo in cui la persona si vede in base ai rimandi che arrivano dall’esterno, e quindi dagli altri. Questo dipende da quanto ci si sente accettati dal gruppo nel quale ci si vuole integrare, da quanto le nostre differenze rispetto agli altri siano rilevanti e quanto possono essere un valore aggiunto anziché un limite e dalla connessione che riusciamo a stabilire con gli altri.

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Il senso di appartenenza e la sua costruzione

Partiamo dal cercare di capire come può nascere il senso di appartenenza e, ancora prima, perché abbiamo bisogno di farlo. A livello teorico, questa sensazione rappresenta la risposta all’omonimo bisogno, che può comparire fin dalle prime fasi di vita, dal momento che, come animale sociale, l’essere umano ha necessità di mantenere dei forti legami relazionali.

Questo bisogno è così radicato che trova un correlato anche in alcune famosissime teorie, come la piramide di Maslow. Questo studioso concepì lo svolgimento della vita umana come guidato dal tentativo di appagare precisi bisogni, che dispose secondo una gerarchia piramidale in base all’urgenza e alla salienza. In pratica, alla base si trovano i bisogni primari, fondamentali per la sopravvivenza, che devono essere i primi a essere soddisfatti, altrimenti non si può passare agli altri. Andando verso la cima, i bisogni hanno a che fare con la realizzazione personale, ma al secondo livello, quindi dopo i bisogni primari, ci sono quelli legati proprio a un livello sociale rudimentale, tra cui il bisogno di appartenenza.

Si pensa che, a livello esistenziale, questo bisogno emerga fin dal momento in cui il bambino inizia a fare parte della sua famiglia, quindi molto precocemente nello sviluppo. Tuttavia, nel corso della vita tutti attraversiamo dei momenti in cui ci viene chiesta una differenziazione che, gradualmente, contribuisce a costruire la nostra identità attraverso un processo di individuazione. Questi episodi possono mettere in discussione il senso di appartenenza, ed è allora che ci impegniamo per riottenerlo.

È ciò che succede, ad esempio, durante un espatrio, anche se non da tutti viene vissuto allo stesso modo. Molto dipende dal fatto che all’interno della famiglia di origine sia stato sperimentato o meno un senso di fiducia nel legame, al punto da potersene allontanare senza temere che questo venga compromesso. In questi casi è anche possibile sperimentare appartenenze a nuovi gruppi, che riescono addirittura a rafforzare la propria sicurezza e arricchiscono ulteriormente i legami sociali già esistenti.

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A livello emotivo, il senso di appartenenza alla famiglia di origine gioca un ruolo fondamentale nel modo in cui l’espatrio viene vissuto, dal momento che il contesto domestico viene ridefinito come il luogo sicuro al quale poter fare ritorno, consentendo di vivere con maggiore tranquillità l’esperienza all’estero, oltre che con più fiducia di riuscire a costruire nuovi legami solidi.

Senso di appartenenza e affettività

La dinamica che abbiamo appena descritto rispecchia, in un certo senso, il legame di attaccamento che si crea tra madre e figlio fin dai primi mesi del piccolo: una relazione sicura, dominata da una coerenza emotiva e da una sintonizzazione tra la mamma e il bambino che procede sempre in modo fluido e lascia libera espressione al piccolo di comunicare le sue emozioni affinché vengano accolte, è la chiave per instaurare una forte fiducia.

In questo modo, la mamma viene identificata come una base sicura alla quale poter sempre fare ritorno, e questa consapevolezza è ciò che spinge il piccolo a esplorare l’ambiente in modo tranquillo, allontanandosi senza avere paura e dedicando la sua attenzione alla scoperta delle novità proposte, sapendo che la mamma veglia su di lui.

Se questo rapporto di fiducia viene meno, il bambino percepirà il mondo esterno come spaventante perché rischia di allontanarlo da una mamma che non è sempre disponibile ad accogliere i suoi bisogni e che, a maggior ragione, preferisce mantenere vicina per paura di perderla. In questo caso il senso di appartenenza alla diade non è molto stabile e il bambino non riesce a dedicarsi all’esplorazione di nuovi contesti di crescita perché ha paura che un giorno questo legame potrebbe rompersi del tutto.

Il tipo di attaccamento che si crea tra madre e bambino viene in parte trasmesso di generazione in generazione e racconta una storia di dinamiche famigliari basate su un’affettività che è peculiare di quella specifica famiglia e può determinare la facilità o meno con la quale si è pronti a staccarsi materialmente da essa per cercare di costruire nuovi legami e di appartenere ad altri gruppi senza, per questo, uscire dalla famiglia di origine. Ecco che, in questo modo, i modelli operativi interni che sono stati costruiti nelle prime relazioni influiscono sul modo in cui ci interfacceremo con gli altri e li ricercheremo.

Il trasferimento all’estero: come cambia il senso di appartenenza?

Quando però cambiare contesto significa anche cambiare stato, il senso di appartenenza si colora intensamente di una dimensione culturale, dal momento che non si tratta più solamente di uscire dalla propria famiglia, ma anche dalla società in cui si è abituati a vivere, avendo a che fare con persone che non hanno con noi le stesse cose in comune, e rischiamo di sentirci degli outsider.

Non solo, la mancanza di senso di appartenenza può dar luogo a un completo isolamento emotivo, che determina non solo in non sentirsi parte del nuovo contesto, ma anche in non avvertire più affinità con quello originario. Il risultato è che ci si sente ignorati dalla comunità in generale, come se si fosse invisibili. Altre volte, invece, si percepisce da parte degli altri un attivo rifiuto. Questa sensazione è l’esatto opposto del senso di appartenenza e prende in nome di senso di alienazione, caratterizzato da una scarsa reciprocità avvertita con gli altri e accompagnato da una bassa autostima. È quindi una situazione che, in generale, può indurre un malessere a livello psicologico.

Come aumentare il senso di appartenenza: alcuni consigli

Quando ci si trova a dover cambiare Paese, instaurare un nuovo senso di appartenenza può essere difficile, ma ci sono anche dei fattori che possono favorire il suo adattamento, a cominciare dalla creazione di nuovi legami significativi, ovvero l’inserimento in un gruppo di amici con i quali poter arricchire la propria vita sociale anziché condurla all’insegna dell’isolamento.

Sentirsi parte del gruppo, identificarsi come suo membro e partecipare attivamente alla vita sociale di questo, è essenziale per intraprendere la costruzione del senso di appartenenza ed estenderlo a una comunità o a una cultura diversa da quella di origine. Non riuscire a creare connessioni con gli altri, o non essere interessati a farlo, determina una maggiore difficoltà nell’integrazione, dal momento che proprio i nuovi amici possono fungere da intermediari per apprendere valori, modelli e abitudini di una cultura diversa.

Lo step successivo è quello dell’identificazione sociale, ovvero della consapevolezza di essere diventati noi stessi parte dell’ambiente in cui abbiamo cercato di inserirci fino ad avvertire con esso una similarità e una nuova famigliarità. Più questo è forte, più sarà saldo il senso di appartenenza che si creerà, dando luogo così a un ritrovato benessere psicologico che farà sentire la persona meno isolata e più inserita.

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Domenico De DonatisPsichiatra e Direttore Sanitario
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Domenico De Donatis è un medico psichiatra con esperienza nella cura dei disturbi psichiatrici. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Parma, ha poi ottenuto la specializzazione in Psichiatria all'Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Registrato presso l'Ordine dei Medici e Chirurghi di Pescara con il n° 4336, si impegna a fornire trattamenti mirati per migliorare la salute mentale dei suoi pazienti.
Dott.ssa Martina MiglioreDirettore della Formazione e dello Sviluppo
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Romana trapiantata in Umbria. Laureata in psicologia e specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Ex-ricercatrice in Psicobiologia e psicofarmacologia. Visione pratica e creativa del mondo, amo le sfide e trovare soluzioni innovative. Appassionata di giochi di ruolo e cultura pop, li integro attivamente nelle mie terapie. Confermo da anni che parlare attraverso ciò che amiamo rende più semplice affrontare le sfide della vita.
Federico RussoPsicologo, Psicoterapeuta, Neuropsicologo
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Psicologo e psicoterapeuta con 8 anni di Esperienza. Iscrizione all’Ordine degli Psicologi - Regione Puglia, n° 5048. Laurea in Psicologia clinica e della salute, Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia presso l'Istituto S. Chiara. Crede che la parte migliore del suo lavoro sia il risultato: l’attenuazione dei sintomi, la risoluzione di una difficoltà, il miglioramento della vita delle persone.
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