Condizionamento classico: gli esperimenti di Pavlov

Dal condizionamento classico al comportamentismo, vi è un'integrazione storica e concettuale che ha plasmato il modo in cui comprendiamo e trattiamo i comportamenti umani, specialmente in campo clinico.

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comportamentismo

Alle origini della psicologia, subito dopo l’avvento di Freud e delle sue teorie psicoanalitiche, iniziò a farsi strada un ramo che cercava di dare a questa disciplina un carattere scientifico, basandosi su ciò che era chiaramente osservabile: nacque così il Comportamentismo, derivante direttamente dagli studi di Ivan Pavlov sul condizionamento.

Hai mai sentito parlare dei suoi esperimenti sui cani? Anche se si tratta di studi ormai datati, ancora oggi hanno un’influenza nella pratica clinica, in cui il Comportamentismo è ancora un approccio diffuso. Continua a leggere e ne saprai di più.

Gli esperimenti di Pavlov: il condizionamento classico

Il Comportamentismo si proponeva di far riconquistare alla psicologia un posto tra le scienze naturali, spostando il suo oggetto di studio dall’anima a tutto ciò che era osservabile e poteva essere misurato, come l’apprendimento, le emozioni e i comportamenti.

Le fondamenta del Comportamentismo vennero gettate dagli esperimenti di Pavlov, che scelse i cani come campione ideale. Pavlov si serviva di misurazioni oggettive per verificare le reazioni degli animali a determinati stimoli. In particolare, manipolando le condizioni ambientali, il ricercatore cercava di condizionare il comportamento dei cani: da qui il nome condizionamento classico.

Nello specifico, si partiva da una reazione spontanea, come l’aumento della salivazione alla vista del cibo, a un riflesso indotto, condizionato dalla presenza di un altro stimolo che l’animale imparava ad associare all’arrivo del cibo. In pratica, il cibo è lo stimolo incondizionato, che determina una risposta incondizionata (la salivazione), mentre il suono di una campanella rappresenta uno stimolo neutro. Questo venne inserito immediatamente prima della presentazione del cibo, così che il cane imparasse ad associare il suono della campanella a un’immediata disponibilità di nutrimento subito dopo.

A questo punto, il suono diventa stimolo condizionato, perché va ad associarsi a quello incondizionato, fino a sovrapporsi ad esso nel meccanismo che si instaura. I cani, infatti, dopo aver appreso questa associazione, aumentano la produzione di saliva già sentendo il campanello, quindi prima della presentazione del cibo: hanno appreso, infatti, che la sequenza è determinata e si ripete in modo sempre uguale, in modo che sviluppano delle aspettative. Queste ultime, a loro volta, determinavano una risposta condizionata, ovvero la salivazione a seguito del campanello.

Lo studio degli stati confusivi

Ci sono anche altri esperimenti di Pavlov, oltre a quelli famosissimi sull’apprendimento condizionato. Egli scelse sempre i cani per studiare una componente diversa dei processi mentali, ovvero l’indizione di uno stato di confusione, che lo studioso pensava di poter paragonare a quello che si verificano nei casi dei disturbi psicotici, in cui la realtà viene distorta da deliri e allucinazioni.

In questo caso, il cane veniva addestrato a riconoscere se la figura geometrica che gli veniva presentata fosse un cerchio o un’ellisse. In pratica, l’animale doveva premere il bottone giusto corrispondente a ciascuna figura e l’apprendimento avveniva tramite punizione. Più nello specifico, veniva applicata una scarica elettrica per ogni risposta sbagliata. Tuttavia, progredendo con l’esercizio, le forme proposte erano sempre più ambigue, con ellissi che somigliavano a cerchi. In questo modo il cane diventava indeciso, uno stato emotivo che, secondo Pavlov, poteva essere in una certa misura sovrapponibile alla confusione schizofrenica.

Riflessioni sugli esperimenti di Pavlov

La nostra sensibilità ci porta a etichettare gli esperimenti di Pavlov come brutali, sicuramente eticamente discutibili, sia per il modo in cui avveniva l’apprendimento tramite punizione, sia per le condizioni stesse in cui si svolgevano: il cane era rinchiuso in una gabbia, all’interno di una stanza sterile, completamente priva di stimoli e di possibilità di azione, un ambiente tutt’altro che rassicurante.

Anche i parametri e il protocollo che questi esperimenti seguivano erano molto rigidi (ad esempio, tra lo stimolo condizionato e quello incondizionato dovevano presentarsi entro un certo intervallo di tempo), allo scopo di ricostruire un ambiente quanto più possibile neutro e facilmente manipolabile, così da isolare i pochi elementi che interessavano e ottenere delle misure più precise e pulite da qualsiasi interferenza. In questo modo Pavlov cercava di conferire alla psicologia un carattere scientifico, rinunciando però a delle condizioni realistiche e che potessero riflettere la realtà.

In questo modo, in ogni caso, vennero condotti i primi studi su un costrutto psicologico, ovvero l’apprendimento, che Pavlov riteneva di poter generalizzare dai cani agli esseri umani. Si tratta, in realtà, di un modello molto semplificato, dal momento che un ambiente reale non è neutro, ma ricco di molte variabili che possono interferire. Tuttavia, le sue conclusioni sono tutt’oggi valide e la sequenza stimolo-risposta viene sfruttata anche nella pratica clinica durante i percorsi di psicoterapia e supporto psicologico.

Il Comportamentismo nella pratica clinica moderna

Gli psicologi che fanno riferimento al modello comportamentista per impostare dei percorsi terapeutici per i loro pazienti sfruttano la legge della generalizzazione dello stimolo, ovvero una teoria secondo la quale quando viene appresa una risposta condizionata, questa può venire associata a una varietà di stimoli che include, ma non si limita, a quello utilizzato durante i processi di apprendimento. In pratica, alcuni elementi di somiglianza (ad esempio nell’aspetto o nel rumore prodotto) tra lo stimolo condizionato originale e un altro oggetto, mettono in collegamento questi due, in modo che la risposta condizionata viene attivata da entrambi.

Anche una somiglianza a livello simbolico può intervenire a determinare questa associazione, ed è esattamente ciò che accade nelle fobie specifiche. In questo tipo di disturbi, il paziente presenta una risposta di paura o ansia eccessiva a una specifica categoria di oggetti target, che possono essere di qualsiasi tipo, animato o inanimato. Molto diffuse, ad esempio, sono le fobie per gli insetti, i ragni, gli uccelli, ma anche quella di navigare, di viaggiare in aereo, per gli ambienti chiusi e stretti oppure per i luoghi affollati (in questo caso parliamo di agorafobia).

La reazione, sia a livello fisiologico che emotivo, è talmente stressante, che la persona è naturalmente indotta a evitare tutte le situazioni in cui rischia di provocarla. Un individuo agorafobico, ad esempio, non andrà alle feste o in discoteca, non prenderà treni e altri mezzi pubblici, si rifiuterà di fare code in posti affollati e potrebbe arrivare a essere riluttante ad andare al supermercato, delegando ad altri il compito di fare spesa. Questo perché la paura di trovarsi bloccato in una situazione senza via di fuga, dalla quale non può fuggire o trovare riparo qualora venga assalito dai sintomi, è fonte di ansia insopportabile.

Ma ciò comporta una notevole limitazione della libertà personale e delle possibilità di agire nel mondo. Per questo motivo è fondamentale rivolgersi a un esperto prima che la situazione peggiori e rubi sempre più pezzi dell’esistenza. L’approccio comportamentista è particolarmente indicato per trattare questi problemi, dal momento che si serve di tecniche e compiti esperienziali che consentono di mettersi in gioco direttamente e in prima persona.

Uno dei metodi più utilizzati, ad esempio, è quello dell’esposizione graduale, in cui il paziente progressivamente si avvicina ad affrontare la situazione che teme attraverso passaggi che man mano diventano più ansiogeni.

Anche la desensibilizzazione sistematica viene molto impiegata: consiste nel far migrare l’associazione tra stimolo e risposta, sfruttando le dinamiche del condizionamento pavloviano per introdurre uno stimolo condizionato che abbia una valenza neutra. A questo si accompagnano tecniche di rilassamento, controllo della respirazione e delle funzioni corporee.

Cosa possiamo concludere sul Comportamentismo?

Il Comportamentismo, quindi, insieme alla psicoanalisi, è l’approccio psicologico più antico, e il suo modo di condurre gli studi ci desta perplessità e repulsione per il modo in cui venivano trattati gli animali. Nonostante ciò, dobbiamo riconoscergli il grande merito di essere stato il primo a provare a rivestire la psicologia di un carattere scientifico, studiando variabili misurabili in modo oggettivo. Quest’idea si è mantenuta e modificata nel corso dei decenni, dando avvio ad altri approcci che hanno cercato di dare un fondamento all’oggetto dei loro studi.

Inoltre, il Comportamentismo moderno è ben diverso da quello di Pavlov ed è divenuto decisamente più moderato, applicando con flessibilità le sue tecniche nella pratica clinica, dimostrandosi efficace e particolarmente indicato per alcuni tipi di disturbi mentali.

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Domenico De DonatisPsichiatra e Direttore Sanitario
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Domenico De Donatis è un medico psichiatra con esperienza nella cura dei disturbi psichiatrici. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Parma, ha poi ottenuto la specializzazione in Psichiatria all'Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Registrato presso l'Ordine dei Medici e Chirurghi di Pescara con il n° 4336, si impegna a fornire trattamenti mirati per migliorare la salute mentale dei suoi pazienti.
Dott.ssa Martina MiglioreDirettore della Formazione e dello Sviluppo
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Romana trapiantata in Umbria. Laureata in psicologia e specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Ex-ricercatrice in Psicobiologia e psicofarmacologia. Visione pratica e creativa del mondo, amo le sfide e trovare soluzioni innovative. Appassionata di giochi di ruolo e cultura pop, li integro attivamente nelle mie terapie. Confermo da anni che parlare attraverso ciò che amiamo rende più semplice affrontare le sfide della vita.
Federico RussoPsicologo, Psicoterapeuta, Neuropsicologo
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Psicologo e psicoterapeuta con 8 anni di Esperienza. Iscrizione all’Ordine degli Psicologi - Regione Puglia, n° 5048. Laurea in Psicologia clinica e della salute, Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia presso l'Istituto S. Chiara. Crede che la parte migliore del suo lavoro sia il risultato: l’attenuazione dei sintomi, la risoluzione di una difficoltà, il miglioramento della vita delle persone.
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