L'autolesionismo: cos'è e come uscirne

L’autolesionismo è un complesso modo di affrontare il dolore emotivo: in questo articolo esploriamo le cause, le manifestazioni e i possibili rimedi di questa condizione.

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Autolesionismo: cos'è.

Punti chiave:

  • Cos'è l'autolesionismo: l'autolesionismo è un comportamento che porta a causarsi dolore fisico in modo intenzionale, senza l'intento di suicidarsi. È spesso legato a disturbi di personalità e si manifesta con atti impulsivi.
  • Cause dell'autolesionismo: le cause dell'autolesionismo includono difficoltà emotive, bassa autostima, abusi, e bullismo. È una strategia per gestire emozioni intense come ansia, tristezza o frustrazione.
  • Come uscirne: la terapia cognitivo-comportamentale è il trattamento più efficace per affrontare l'autolesionismo, combinata con il supporto psicoterapeutico. In alcuni casi, la terapia farmacologica può essere utile per trattare disturbi associati.
 

Cos'è l'autolesionismo

L’autolesionismo è una malattia che porta chi ne soffre a procurarsi volontariamente del dolore fisico attraverso una serie di comportamenti lesivi di gravità variabile. 

Quando si parla di autolesionismo si intendono tutti quei comportamenti intenzionali che il soggetto compie per provocarsi del dolore fisico, indipendentemente dall’avere o meno pensieri suicidari, spesso associati ai disturbi di personalità.

Come indicato anche dall’organizzazione Mondiale della Sanità, l’autolesionismo viene definito come un comportamento:

  • non fatale;
  • volto unicamente ad autodanneggiarsi;
  • intenzionale e commesso autonomamente;
  • finalizzato a modificare e attuare dei cambiamenti attraverso le conseguenze stesse delle lesioni che ci si infligge.

L’autolesionismo è un comportamento estremamente impulsivo, tanto che spesso possono passare pochissimi minuti dal pensiero lesionista all’atto stesso, e si manifesta con maggior incidenza negli adolescenti e nel sesso femminile, con tutta una serie di azioni e comportamenti autolesionistici ben definiti.

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Autolesionismo e adolescenti: epidemiologia

L’autolesionismo è un fenomeno che si sviluppa solitamente in giovane età, tanto da essere molto diffuso tra gli adolescenti (di cui ne soffrono circa il 15-20%), perdurando in alcuni casi anche nella prima età adulta.

Si tratta di un disturbo che si manifesta con un’incidenza maggiore nel sesso femminile e nelle persone in età adolescenziale: spesso è una conseguenza di episodi di bullismo, ansia, depressione, bassa autostima, problemi in ambito familiare, abuso di alcol e/o droghe, ecc. ed è  finalizzato alla regolazione delle emozioni che si vivono, che si traducono in atteggiamenti dannosi e lesivi.

In un articolo di Repubblica si racconta di come ci sia stato un preoccupante aumento sia dei comportamenti autolesivi sia di quelli suicidari tra i giovani negli ultimi anni: rispetto al periodo pre-pandemico, il numero di ragazzi e ragazze che si infliggono tagli, manifestano pensieri suicidari o compiono tentativi di suicidio è cresciuto di circa il 27%. 

La situazione è allarmante: nonostante l’Italia abbia uno dei tassi di suicidio più bassi al mondo, il suicidio rappresenta la seconda causa di morte tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, preceduto solo dagli incidenti stradali (Fonte: Istituto Superiore di Sanità).

Nonostante non sia chiaro il perché i comportamenti autolesionistici rimangano attivi nel tempo anche fino all’età adulta, pare che questo sia causato da diversi fattori sia interpersonali, come un basso supporto familiare e sociale, che intrapersonali tra cui:

  • la bassa autostima del soggetto;
  • il livello di soddisfazione riguardo la propria vita;
  • distress emotivo;
  • percezione e gestione delle emozioni vissute.

Tutti fattori che influiscono negativamente sul soggetto che ne soffre, cronicizzando il problema e aumentando il rischio di conseguenze gravi e irrimediabili. 

Autolesionismo e adolescenti: sintomi.

Sintomi: come si manifesta l'autolesionismo?

Tra gli atti di autolesionismo più comuni ci sono:

  • tagliarsi con diversi tipi di oggetti affilati (per esempio i tagli sul braccio);
  • provocare ustioni e bruciarsi la pelle con sigarette e/od oggetti roventi;
  • ferirsi in maniera ritualistica;
  • percuotere il corpo;
  • mordersi;
  • assumere sostanze nocive;
  • assumere un dosaggio di farmaci maggiore rispetto a quello prescritto.

Il tutto svolto in modo impulsivo e intenzionale, che porta a:

  • difficoltà relazionali;
  • pensieri ed emozioni negative precedenti al gesto autolesivo;
  • preoccupazione incontrollabile verso il gesto stesso.

Un comportamento attuato dal soggetto che ne soffre come modo per sfogarsi, e come mezzo per regolare le proprie emozioni, eliminando attraverso il corpo la sofferenza interiore e il dolore emotivo: spostare l’attenzione e il proprio disagio dall’interno verso l’esterno, rende il dolore fisico più sopportabile e lo rende visibile anche a chi si ha vicino.

Il legame con altre patologie

Accade molto frequentemente che l’autolesionismo sia espressione e segnale di altri problemi o patologie in corso vissute dal o dalla paziente, tra cui:

Quindi, l’autolesionismo può essere sintomo di un altro problema, ad esempio dell’instabilità nelle relazioni, dell’umore, dell’immagine di sé, ecc., vissuta dalla persona, e da cui cerca sollievo, arrivando anche a desensibilizzarsi al dolore che ci si causa spingendosi sempre oltre.

Di fatto, i comportamenti autolesionistici possono rappresentare un forte fattore di rischio per il suicidio. Questo non significa che l'autolesionismo sia espressione del desiderio di togliersi la vita, ma è presente una correlazione tra i due fenomeni.

Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Lancet, nonostante l’autolesionismo non sia attuato allo scopo di porre fine alla propria vita, può rappresentarne una premonizione, anticipando futuri tentativi di suicidio.

Ecco perché è bene comprendere il proprio disturbo o aiutare chi si ha vicino a prenderne atto, per cominciare un percorso mirato con un o una terapeuta che permetta alla persona di riconoscere e risolvere le cause all’origine del disturbo stesso e liberarsene. Cosa che deve esser fatta il prima possibile.

La diagnosi di autolesionismo

Il DSM-V indica con precisione come si svolge la diagnosi di autolesionismo. 

Per diagnosticare l’autolesionismo non suicidario, il medico deve distinguere se l’atto era mirato a provocare la morte (comportamento suicidario) o meno (autolesionismo non suicidario), considerando comunque che chi si autolesiona potrebbe comunque essere a rischio di tentativi di suicidio. 

Successivamente, il medico deve:

  • Determinare quale tipo di atti autolesionistici e quanti tipi di atti autolesionistici il paziente ha inflitto
  • Determinare quanto spesso l'autolesionismo non suicidario si verifica e per quanto tempo
  • Determinare la funzione dell'autolesionismo non suicidario per il paziente
  • Verifica l'esistenza di disturbi psichiatrici concomitanti
  • Stimare il rischio di un tentativo di suicidio
  • Determinare quanto il paziente sia disposto a partecipare a un trattamento

(Fonte: Manuale MSD. Edizione professionisti)

Inoltre, il medico verifica la presenza di eventuali altri disturbi mentali e valuta il rischio di tentativi di suicidio, tenendo conto di tutti i fattori emersi durante la valutazione.

Criteri diagnostici per l'autolesionismo

Il DSM-V individua alcuni precisi criteri diagnostici:

  1. Nell'ultimo anno, l'individuo si è, per 5 o più giorni, provocato intenzionalmente danni alla superficie del corpo al fine probabilmente di causarne il sanguinamento, l’ecchimosi, o sentir dolore senza alcun intento suicida.
  2. L'individuo si impegna nel comportamento autolesionista per:
    1. ottenere sollievo da un sentimento o stato cognitivo negativo.
    2. risolvere una difficoltà interpersonale.
    3. indurre uno stato emotivo positivo.
  3. L’autoferimento intenzionale è associato a
    1. difficoltà interpersonali, sentimenti o pensieri negativi
    2. un periodo di preoccupazione
    3. pensieri autolesionistici si presentano frequentemente
  4. Il comportamento non si limita a ferite minori come togliere una crosticina o mangiarsi le unghie.
  5. Il comportamento o le sue conseguenze causano interferenze nella vita del soggetto e un disagio clinicamente significativo;
  6. Il comportamento non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi psicotici, delirio, intossicazione da sostanze, o astinenza.

Cause delle condotte autolesionistiche

Le diverse forme di autolesionismo rappresentano l’unica soluzione conosciuta da chi soffre per regolare e liberarsi dalle emozioni intense che si provano, e che fanno stare male con sé stessi: si tratta quindi di una strategia per provare a eliminare la sofferenza vissuta. 

Tra le cause dell’autolesionismo, infatti, ci sono:

  • il desiderio di risolvere eventuali difficoltà interpersonali;
  • l’autopunizione per errori che si pensa di aver commesso;
  • la richiesta di aiuto;
  • ricerca di attenzione.

Ma può sfociare anche in seguito a 

  • problemi e/o difficoltà in ambito familiare;
  • bassa autostima;
  • scarsi risultati scolastici o nell’ambiente lavorativo;
  • basse capacità di problem solving;
  • abuso di sostanze dannose come alcol e droghe;
  • l’aver vissuto episodi di bullismo, isolamento, ecc.

Tutti fattori che possono portare ad assumere comportamenti autolesionisti, attuati come vere e proprie strategie per fronteggiare situazioni interiori stressanti ed emotivamente dolorose, cercando di donarsi sollievo. 

Autolesionismo: come uscirne con la terapia.

Cure e rimedi: la psicoterapia per l'autolesionismo

Attualmente, non esistono farmaci con efficacia specificamente dimostrata per il trattamento dei comportamenti autolesionistici. Tuttavia, nell'ambito di un approccio terapeutico multidisciplinare, la terapia farmacologica può risultare utile per affrontare i disturbi psicopatologici associati.

Il trattamento più diffuso ed efficace utilizzato per intervenire nei casi di comportamenti autolesionisti è la terapia cognitivo comportamentale. Questa terapia prevede l’utilizzo di tecniche specifiche di ristrutturazione cognitiva e prevenzione verso eventuali ricadute, utili ad aiutare chi soffre di autolesionismo ad affrontare il problema. Per farlo è importante affidarsi a un o una terapeuta in grado di eseguire una valutazione generale delle diverse abilità di regolazione emotiva del o della paziente, oltre alla rilevazione della percezione che il soggetto autolesionista ha della propria capacità di regolare le emozioni che vive, modificando eventuali credenze disfunzionali a riguardo.

Altre tipologie di terapie per l’autolesionismo sono:

  • terapia dialettico-comportamentale, che consiste in sessioni settimanali, sia individuali che di gruppo, con uno o una psicoterapeuta disponibile telefonicamente 24 ore su 24. Lo scopo è quello di sostenere il soggetto e aiutarlo a trovare modi migliori per reagire allo stress che vive, evitando di ledere se stesso;
  • la terapia di gruppo per la regolazione emotiva, che aiuta il soggetto a essere consapevole delle proprie emozioni, comprendendo e accettando ciò che vive in modo da non reagire a esse. 

Invece, nel caso in cui il soggetto autolesionista sia affetto dai disturbi già citati come quelli alimentari, della personalità, ecc., il o la terapeuta dovrà procedere e focalizzarsi alla cura di questi.

Se attui l'autolesionismo o conosci una persona cara che lo fa, è utile rivolgersi a uno o una psicoterapeuta che possa valutarne le cause e aiutare nel risolverlo, per tornare a vivere una vita più serena. Se lo desideri, puoi rivolgerti a Serenis: siamo un centro medico online con più di 1.600 professionisti specializzati.

Fonti:

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Domenico De DonatisPsichiatra e Direttore Sanitario
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Domenico De Donatis è un medico psichiatra con esperienza nella cura dei disturbi psichiatrici. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Parma, ha poi ottenuto la specializzazione in Psichiatria all'Università Alma Mater Studiorum di Bologna. Registrato presso l'Ordine dei Medici e Chirurghi di Pescara con il n° 4336, si impegna a fornire trattamenti mirati per migliorare la salute mentale dei suoi pazienti.
Dott.ssa Martina MiglioreDirettore della Formazione e dello Sviluppo
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Romana trapiantata in Umbria. Laureata in psicologia e specializzata in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Ex-ricercatrice in Psicobiologia e psicofarmacologia. Visione pratica e creativa del mondo, amo le sfide e trovare soluzioni innovative. Appassionata di giochi di ruolo e cultura pop, li integro attivamente nelle mie terapie. Confermo da anni che parlare attraverso ciò che amiamo rende più semplice affrontare le sfide della vita.
Federico RussoPsicologo, Psicoterapeuta, Neuropsicologo
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Psicologo e psicoterapeuta con 8 anni di Esperienza. Iscrizione all’Ordine degli Psicologi - Regione Puglia, n° 5048. Laurea in Psicologia clinica e della salute, Università degli Studi di Chieti. Specializzazione in Psicoterapia presso l'Istituto S. Chiara. Crede che la parte migliore del suo lavoro sia il risultato: l’attenuazione dei sintomi, la risoluzione di una difficoltà, il miglioramento della vita delle persone.
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