Aborto volontario: che cos’è e cosa può comportare
L'aborto volontario è una scelta complessa con implicazioni emotive e fisiche; discute l'importanza del supporto e della comprensione per chi si trova a prendere questa decisione.
Il termine aborto volontario indica la procedura necessaria all’interruzione volontaria di una gravidanza. In Italia, l’aborto volontario è legale dal 1978 nel rispetto di precise norme e condizioni, tra cui il limite di 90 giorni dall’inizio della gestazione per effettuare l’aborto. In seguito ai tre mesi indicati, è possibile effettuare l’interruzione volontaria della gravidanza solo per ragioni terapeutiche, legate alla salute psicofisica della donna in questione.
Ricordiamo che l’aborto può avere conseguenze da non sottovalutare sulla psiche della donna, che si trova ad affrontare una situazione spesso difficile e legata a possibili complicazioni sul piano psichico, fisico ed emotivo. In alcuni casi, l'aborto volontario può essere seguito da condizioni psicologiche complesse, tra cui la psicosi post partum.
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L’aborto volontario: come si svolge
Per prima cosa, la donna incinta deve rivolgersi ad una struttura abilitata, come un consultorio o un ginecologo privato o un medico di fiducia. Qui, verrà sottoposta a tutti gli accertamenti necessari di natura medica e sanitaria. Verranno inoltre indagate le cause psicologiche ed emotive che sono alla base della decisione.
Se verrà accertata la necessità di praticare l’aborto in tempi brevi a causa di urgenze, verrà subito rilasciato un documento che permetterà alla donna in gravidanza di rivolgersi ad un centro abilitato ad effettuare IVG (interruzione volontaria di gravidanza).
In alternativa, verrà offerto un documento da firmare e proposto un periodo di riflessione pari a sette giorni prima della decisione definitiva.
Affinché la procedura sia possibile, è necessario che la donna abbia compiuto il diciottesimo anno di età. In alternativa, è necessario il consenso dei genitori o rivolgersi ad un giudice tutelare che dia il via libera all’interruzione volontaria della gravidanza.
Cosa accade dopo il permesso?
A questo punto, la donna deve recarsi nella struttura abilitata all’interruzione volontaria di gravidanza. Potrebbe essere un ospedale o comunque una struttura sanitaria organizzata a questo scopo. Ricordiamo che in Italia esiste un gran numero di obiettori di coscienza: cioè personale medico che si rifiuta, per motivazioni etiche o altre ragioni, di effettuare l’aborto. La legalità dell’obiezione dipende dal caso e dall’interpretazione delle norme legali vigenti in Italia. La questione risulta molto complessa e non è possibile affrontarla in questa sede.
Come funziona l’aborto?
Ci troviamo davanti alla terza fase: quella dell’aborto volontario vero e proprio. Tale procedura può essere svolta secondo differenti modalità: l’aborto farmacologico e l’aborto chirurgico. Vediamole nel dettaglio.
Aborto chirurgico
Nell’aborto chirurgico, l’utero della donna viene svuotato attraverso strumentazione medica. Ciò può avvenire tramite isterosuzione, cioè l’inserimento di una cannula all’interno dell’utero e un processo di aspirazione. Prima dell’inserimento, è necessario dilatare la cervice attraverso farmaci o strumentazione meccanica. All’isterosuzione può seguire il raschiamento se necessario.
Altrimenti, l’aborto viene praticato con solo raschiamento: che prevede lo svuotamento dell’utero per il tramite di uno strumento definito curetta.
L’aborto chirurgico ha una durata media di 15 minuti.
Aborto farmacologico
Il secondo metodo è quello farmacologico, cioè attraverso l’impiego di pillola abortiva e somministrazione di molecole che favoriscono la contrazione dell’utero e dunque l’espulsione dell’embrione.
L’aborto farmacologico ha inizio con la somministrazione della pillola abortiva. La donna può allora uscire dalla struttura sanitaria per poi assumere un analogo delle prostaglandine (molecole per le contrazioni dell’utero) dopo circa 36 ore e ricevere nuovamente assistenza sanitaria.
Cosa succede dopo un aborto volontario?
Dopo un periodo di osservazione, la donna viene dimessa dalla struttura sanitaria. Può fare ritorno al domicilio avendo cura di tenere comportamenti corretti e in linea con le prescrizioni del medico. In generale, dopo l’aborto volontario è necessario contattare un medico se si presentano sintomi come:
- forte sanguinamento vaginale;
- perdite di cattivo odore;
- crampi e febbre.
I possibili effetti collaterali sono invece:
- vomito o nausea;
- infezione dell’utero (una donna su dieci);
- forte sanguinamento (una donna su mille);
- danni collaterali alla cervice (una donna su cento);
- danni all’utero (una donna su duecentocinquanta o mille per gli aborti chirurgici; una donna su mille per quelli farmacologici).
Conseguenze psicologiche dell’aborto
Dopo l’aborto, i sintomi possono comprendere sofferenza psicoemotiva, alterazioni dell’umore, malessere generale, crisi relazionali, isolamento e altro ancora. Si può altresì sperimentare senso di colpa, vergogna, pentimento, fino ad arrivare a repulsione e a sviluppare fobie specifiche come la tocofobia.
Diviene necessario richiedere un supporto psicologico non solo in presenza di questi sintomi, ma in precedenza e in seguito all’aborto volontario, per non dover affrontare in solitudine l’esperienza dolorosa e spesso conflittuale dell’interruzione volontaria di gravidanza. Si può contattare un esperto psicoterapeuta che saprà come agire tempestivamente per trattare o prevenire i sintomi sopraindicati.
Ricordiamo infine che l’aborto perchè ti sei pentita non dovrebbe avere effetti a lungo termine sulla fertilità, a meno che gli effetti collaterali non comportino danni nelle zone interessate dal concepimento.
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